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Jucature, premio Ubu 2013, torna in teatro a Napoli

Intervista a Enrico Ianniello, traduttore, attore e regista di “Jucature” di Pau Mirò, premio Ubu 2013 come migliore novità straniera.
A cura di Simone Petrella
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Torna in scena fino al 6 gennaio, presso il Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, Jucature, testo di Pau Mirò tradotto e diretto da Enrico Ianniello.

La coppia italo-catalana ha vinto quest'anno, con "Jucature" appunto, il premio Ubu come miglior novità straniera, raccogliendo il successo non solo di questo testo ma anche di "Plou a Barcelona", drammaturgia dello stesso autore. Una collaborazione fortunata, testi catalani che tradotti in napoletano hanno reso se non meglio almeno quanto i testi originali, spettacoli semplici, essenziali, in cui la scelta degli attori ha avuto un ruolo essenziale – Chiara Baffi, Giovani Ludeno e Enrico Ianniello in "Chiòve", versione italiana di "Plou a Barcelona" diretta da Francesco Saponaro e Renato Carpentieri, Tony Laudadio, Giovanni Ludeno e Enrico Ianniello per "Jucature".

Abbiamo incontrato Enrico Ianniello, attore, traduttore e regista di "Jucature", per rivolgergli qualche domanda.

Enrico Ianniello
Enrico Ianniello

Come nasce la tua collaborazione con Pau Mirò?
Alcuni anni fa, dopo aver tradotto e portato in scena un grande successo catalano di un altro autore, Jordi Galceran, l'Istituto di Cultura Catalana mi fece leggere una decina di testi di giovani autori, chiedendomi di sceglierne uno da tradurre. Tra tutti, mi piacque molto "Plou a Barcelona", diventato poi il nostro "Chiòve". Dopo una settimana invitai Pau Mirò, l'autore, a prendere un caffe in Palza Catalunya, al cafè Zurich, e lì è nata la nostra collaborazione e la nostra amicizia.

Jucature vince il premio Ubu come migliore novità straniera; al fianco di Latella o di Spregelburd, Pau mirò sembra avere nella scrittura qualcosa di tradizionale e pur non essendo napoletano rimanda a una tradizione partenopea di tempi, ritmi e scrittura. Credi esista un rapporto tra la scrittura di Pau Mirò e quella di Eduardo, o di altri grandi commediografi partenopei?
Penso – ma lo dichiara anche lo stesso Pau – che la sua scrittura si sia "napoletanizzata" dopo l'incontro con la nostra compagnia, nel senso che le risonanze di un autore come Eduardo, che lui aveva studiato all'Institut del Teatre di Barcelona, hanno acquisito ai suoi occhi un valore meno esotico  e più agganciato a un panorama umano unico e molto riconoscibile. Lui dichiara di pensare, quando scrive, alla ricezione di un ipotetico pubblico napoletano e a come suonerebbe quella partitura un organico napoletano. Quindi il rapporto c'è sicuramente ed è ormai parte fondante della sua scrittura.

Pau Mirò
Pau Mirò

E qual è invece la realtà teatrale spagnola da cui l’autore proviene?
Pau proviene dalla scena catalana. intanto è necessario fare questa distinzione – scena spagnola/scena catalana – per una questione di investimento culturale. La Catalunya investe molte risorse in campo culutrale e in ambito linguistico circoscritto (il catalano, appunto) questo ha significato, nel corso degli ultimi dieci/quindici anni, il rinforzarsi di molte realtà teatrali legate alle scrittura e alla messinscena di autori catalani (la sala Beckett o il progetto T6 del Teatro Nacional De Catalunya). Pau appartiene in pieno a questi gruppi di autori che spesso hanno anche messo al centro delle loro opere proprio la città di Barcellona (Lluisa Cunillé, Jordi Galceran, Jordi Casanovas, Josep Maria Miró e altri).

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Il napoletano teatrale è un linguaggio che si è evoluto nel tempo ed ha avuto applicazioni anche molto diverse di autore in autore, tu come ti sei rapportato alla traduzione del testo?
I testi di Pau Mirò, in Italia, sono andati in scena solo in napoletano. Parlo della ricezione da parte del pubblico: tradurli in napoletano per me ha significato tradurli non solo in un'altra lingua, ma in un'altra tradizione teatrale e credo che noi, come attori, siamo sicuramente debitori a Eduardo su tutti. Questo va un po' oltre la semplice ri/ambientazione del testo: è una ri/ambientazione umana, culturale, antropologica. Teatrale, in una parola. Io sono un attore che traduce, e questa mi pare una questione fondamentale. Ho cercato di restituire un copione agli attori, immediato e fatto di una lingua che affondasse nell'autenticità. Sicuramente è un napoletano spurio, inquinato dal linguaggio televisivo e infarcito di citazioni commerciali, nomi di prodotti…forse è il napoletano che ho sentito intorno a me in questi anni.

Jucature è uno spettacolo costruito con pochissimi elementi scenici e dando grande spazio al testo e alla capacità degli attori. Tu hai un’idea precisa di come possa essere il tuo teatro? La struttura di Jucature rappresenta il tuo modo di intendere il teatro?
Questa è la domanda più difficile! Non credo che esista ancora "il mio teatro", ma di certo la mia immaginazione teatrale. Quanto penso ad una messinscena, mi concentro sempre su questi elementi sostanziali: attori e testo. Non immagino scene complicate o giochi di luce o proiezioni, ma attori e testo – o la loro negazione: l'assenza di questi due elementi. Cioè silenzio e vuoto. Nella direzione, in ogni caso, mi comporto da attore che "dirige" i suoi compagni in scena. Più che Regista con la r maiuscola mi chiamerei capocomico con le c minuscola.

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