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“Il Signore degli Anelli”: 65 anni fa J. R. R. Tolkien pubblicava il suo capolavoro fantasy

Grazie anche ai memorabili adattamenti cinematografici diretti da Peter Jackson, “Il Signore degli Anelli” è divenuto un’opera fondamentale della letteratura fantasy del XX secolo. J. R. R. Tolkien impiegò diciassette anni per completarla, pubblicando il primo volume il 29 luglio 1954: sessantacinque anni dopo il senso più profondo dell’opera risulta ancora attuale.
A cura di Federica D'Alfonso
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Lo scrittore J. R. R. Tolkien.
Lo scrittore J. R. R. Tolkien.

Sessantacinque anni fa la casa editrice Allen&Unwin pubblicava quella che diventerà una delle opere più famose del Ventesimo secolo: il 29 luglio del 1954 usciva nelle librerie inglesi il primo volume de “Il Signore degli Anelli” di J. R. R. Tolkien. Il romanzo è oggi considerato un’opera cult della letteratura fantasy, ma quando uscì, e per molti anni a seguire, il suo destino non fu così semplicistico: tanti furono i tentativi di assegnare alle mille e più pagine piene di Elfi ed Hobbit un significato nella Storia. E oggi, nel XXI secolo, quale potrebbe essere il valore di un’opera monumentale come “Il Signore degli Anelli”?

"Il Signore degli Anelli": un mondo che cambia

Copertina della prima edizione di "Le due torri", il secondo volume de "Il Signore degli anelli", pubblicato nel 1954.
Copertina della prima edizione di "Le due torri", il secondo volume de "Il Signore degli anelli", pubblicato nel 1954.

"La Compagnia dell’Anello" è il primo volume di quella che viene definita una trilogia ma che, nelle intenzioni di Tolkien, doveva essere un’unica grande storia: nel giro di pochi mesi usciranno anche "Le due torri" e "Il ritorno del re", chiudendo una saga iniziata diciassette anni prima con un altro romanzo, ovvero "Lo Hobbit". La narrazione riprende le fila lasciate in sospeso dal racconto precedente, salutando Bilbo in partenza per Gran Burrone e scoprendo insieme a Frodo, suo cugino, il terribile potere di quell'anello che tanti anni prima era stato sottratto a Gollum.

È dunque a partire dall'Anello, dal suo terribile potere e dalla minaccia che incombe su tutta la Terra di Mezzo, che Tolkien costruisce le sue milleduecento pagine di romanzo: nella finzione letteraria della Terza Era sono trascorsi 76 anni da quando Bilbo è tornato nella Contea portando con sé l’anello, ma nel mondo reale sono trascorsi “appena” diciassette anni dalla pubblicazione de “Lo Hobbit”. Tanto è il tempo che Tolkien impiegò per dare un seguito a quel primo libro che lo aveva reso famoso. Non sono diciassette anni normali però: un’altra guerra aveva devastato l’Europa, facendo conoscere al mondo l’incubo dei fascismi e la devastazione della bomba atomica.

Dagli anni Ottanta ad oggi: difendere la Terra di Mezzo

R. R. Tolkien negherà sempre i riferimenti alla Seconda guerra mondiale e ai totalitarismi presenti nell'opera, così come l’intento “allegorico” di moltissimi elementi inseriti nel racconto. Tuttavia non è casuale che al tono fiabesco e a tratti comico delle avventure di Bilbo Baggins si sostituisca improvvisamente uno sguardo impietoso e oscuro sul mondo fantastico di Arda, troppo angosciosamente simile alla realtà per ignorarne la portata simbolica che il libro deve aver avuto all’epoca della prima pubblicazione.

A partire dagli anni Ottanta l’intera opera tolkieniana è stata completamente rivalutata, grazie anche alla pubblicazione postuma di molti altri racconti e scritti teorici, nonché di lettere personali, che hanno contribuito a delineare meglio i confini della sua poetica fantasy: ma prima di questa renaissance l’attenzione maniacale di Tolkien per la mitologia nordica, il tono “allegorico” che molti personaggi o accadimenti del romanzo sembravano assumere rispetto alla contemporaneità, e la mai del tutto chiarita posizione politica dello scrittore, portarono a non pochi “fraintendimenti”, anche in contraddizione fra loro.

In diversi momenti storici il mondo fantastico della Terra di Mezzo è stato letto come parabola anticomunista, antinazista, altre ancora come anticapitalista, come manifesto ecologista o come un’ambigua manipolazione fantasiosa di mitologie antiche. Negli Stati Uniti degli anni Sessanta Frodo diviene il simbolo del pacifismo, mentre dieci anni dopo in Italia le sue avventure vengono rilette dalla destra. In sessantacinque anni su quest’opera è stato detto di tutto, e c’è stato chi anche alle soglie del nuovo millennio ha cercato di attualizzarne il senso forse più profondo ed emblematico:

La lezione di Frodo, oggi come oggi, è tutt'altro che scontata. (…) Tolkien ci racconta proprio questo: per quanto ci è possibile e per quanti condizionamenti possiamo subire, dobbiamo testardamente cercare di assumerci la responsabilità delle nostre azioni. Dobbiamo individuare un dovere, un viaggio da compiere, una battaglia da combattere. Perché è ciò che dà senso alla nostra esistenza, che ci aiuta a scoprire noi stessi, a metterci alla prova, e ci impedisce di diventare l’ombra dei nostri padri e madri. (…) Ecco perché, ottant'anni dopo la partenza di quel primo Hobbit dall'uscio di Bag End, non è affatto difficile trovare un buon motivo per difendere la Terra di Mezzo.

("Difendere la Terra di Mezzo", Wu Ming4)

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