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“Dimergolare”: una parola da riscoprire

Ci sono certe azioni che facciamo tutti, quotidianamente, a cui non sappiamo dare un nome e che perciò notiamo a stento. Oggi ne vediamo una incredibile, una mossa delle mani che abbiamo sempre pronta, descritta da un verbo preciso, per quanto desueto, di antica ascendenza latina, di splendida suggestione rurale.
A cura di Giorgio Moretti
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Di solito diamo per scontato che la vita delle parole sia simile a quella degli esseri viventi: nascono, vivono, muoiono e restano sepolte nei vecchi libri come al cimitero. Ma non è così. Possono nascere più volte e convergere in una vita sola, nascerne una e vivere più vite, morire del tutto o in parte e poi tornare, magari dopo secoli, uguali a prima o completamente diverse. Perciò non si deve essere diffidenti verso le parole molto desuete: possono tornare, magari stanno già tornando e fra poche decine di anni saranno le più comuni fra le parole comuni.

Prendiamo il caso di ‘spigliato', termine tutt'altro che ricercato, che significa ‘disinvolto'. Emerso in italiano nel Trecento, pare proprio (come possiamo leggere nel DELI della Zanichelli) rimasto in disuso fino all'Ottocento, quando è tornato alla ribalta come aggettivo stravagante. Cinque secoli di sonno e ritorno stravagante. L'umilissimo ‘spigliato'. Visto che può accadere di tutto, oggi vi propongo una parola del passato (così stramorta che se avesse un cadavere non si saprebbe nemmeno più dov'è sepolto) che però è un vero mai-più-senza.

Leggiamo sui dizionari che ‘dimergolare' significa ‘rimuovere un chiodo agitandolo', ma anche più genericamente ‘scuotere', e ‘barcollare, tentennare'. Immaginiamo: davanti a qualcosa (pensiamo giusto un chiodo) rimasto conficcato (pensiamo nel legno) cerchiamo di toglierlo con la stretta delle dita (che male) o con una pinza. Che movimento facciamo? Specie se non ci importa di sciupare il materiale dove è conficcato, è proprio il dimergolare. Una serie di movimenti di qua e di là, magari circolari, che a poco a poco lo smuovono e gli allargano lo spazio perché possa essere estratto. Lo facciamo tutti, e non sapremmo dire dove l'abbiamo imparato.

Questo verbo pare che derivi dal latino demergulare, derivato di merga, ossia il forcone, il tridente che si usa per i covoni di paglia: infili le punte del forcone nel covone, lo sollevi, e quando poi lo vuoi posare devi scrollarlo. I più fortunati di noi lo hanno visto fare e lo hanno fatto col loro nonno contadino. Proprio di qui nasce il dimergolare, da questo scuotere rapido, sbrigativo, che si attaglia bene anche al movimento del genere del togliere il chiodo.

Per fare qualche esempio: quando giro il soffritto le rondelle di cipolla mi restano infilate sul mestolo, e io lo dimergolo invano, così come dimergolo la forchetta intorno a cui ho rigirato troppi spaghetti; per ficcare bene l'ombrellone nella sabbia della spiaggia dimergolo la punta con intensità agonistica; il bambino si dimergola il dente che dondola; e quando tocca a me vado al tabellone a dimergolare le freccette con la calma di chi sta per stravincere. Inoltre, il dimergolare è anche un barcollare, un tentennare (come in effetti tentenna il chiodo, il bastone dimergolato): a forza di degustazioni di vino mi ritrovo a dimergolare biascicando di politica; l'antica consolle dimergola ogni volta che la sfiori (meglio non appoggiarci niente); e nella mia ignoranza dimergolo a ogni domanda. Insomma, non possiamo fare a meno dell'azione del dimergolare, come si può fare a meno del verbo che la descrive?

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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