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Opinioni

Credit Suisse: Italia, il 2014 non va sprecato

Lo scenario macro dell’eurozona migliora, ma per una crescita forte servirebbero più incentivi da parte della Bce che difficilmente arriveranno. A soffrire saranno paesi come l’Italia ancora alla prese con i postumi della crisi. Ma il Credit Suisse intravede una possibile soluzione…
A cura di Luca Spoldi
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Eurolandia “dovrebbe continuare a uscire dalla sua crisi quest’anno secondo gli analisti di Credit Suisse che in uno studio diffuso stamane notano come “dal punto di vista della sostenibilità del debito, lo scenario dovrebbe continuare a migliorare”. Infatti “l’economia si sta riprendendo, anche se gradualmente, ma la ripresa è su vasta scala. I deficit sono in calo, con riduzioni quest’anno legate più a fattori ciclici che strutturali. E i tassi di finanziamento dei titoli pubblici della periferia hanno continuato a scendere”. Tutto bene? Non proprio: ciò che continua a mancare, sottolineano anche gli esperti del gruppo svizzero, è “una forte crescita nominale”, che pure sarebbe necessaria per ridurre i rapporti debito/Pil (soprattutto, aggiungo io, per un paese come l’Italia dove tale rapporto sembra aver raggiunto una velocità di fuga tale che ne renderà difficile se non impossibile la riduzione per semplici motivi aritmetici).

Gli esperti spiegano poi che “anche se non pensiamo che la zona euro scivolerà in deflazione”, la sua inflazione prevalentemente bassa appare essere “un riflesso sia della crisi, sia di una politica monetaria non sufficientemente stimolante, a nostro avviso”. Purtroppo, concludono gli analisti, “un momentum ciclico più forte e un’inflazione in fase di stabilizzazione probabilmente tratterranno la Bce dall’intraprendere stimoli più aggressivi. Così è probabile che i timori sulla deflazione – e le sue conseguenze per la sostenibilità del debito – continueranno a pesare sui mercati quest’anno”. Fosse solo un problema di mercati il consiglio potrebbe essere: mantenetevi liquidi e puntate qualche soldo, se ne avete da parte, su titoli di stato a breve scadenza e azioni di imprese che abbiano una modesta esposizione al mercato italiano (ed europeo).

Ma i problemi sono ben altri, come confermano anche gli ultimi dati relativi all’andamento dei crediti problematici presenti nei bilanci delle banche italiane, che per Abi hanno raggiunto a fine novembre i 149,5 miliardi di euro (dato sostanzialmente confermato anche da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, ossia delle Camere di Commercio),in crescita di 27,7 miliardi (+22,76%) dai 121,8 miliardi del novembre 2012, a fronte di un calo di 66,2 miliardi (-4,46%) a 1.419 miliardi dei prestiti erogati (erano 1.485,2 miliardi dodici mesi prima). Insomma: le banche stanno accelerando nella loro pulizia di bilancio ed era prevedibile che così fosse e che così continui ancora almeno per i primi nove mesi dell’anno, visto che solo a ottobre la Bce renderà noti i risultati dell’Asset quality review e dei relativi stress test (“consigliando” eventuali ulteriori misure di rafforzamento patrimoniale per gli istituti più a rischio).

Nel frattempo i risultati si vedono anche a livello di imprese: se la “voglia di intraprendere” resta sostanzialmente stabile, quella che accelera è, anche in questo caso senza troppe sorprese, la moria di imprese specialmente di piccole e medie dimensioni e del comparto artigiano. Secondo il rapporto Movimprese sempre di Unioncamere, ad esempio, nel 2013 sono nate 384.483 nuove imprese in Italia, circa 600 in più rispetto al 2012, mentre hanno cessato l’attività in 371.802, contro le 364.972 del 2012. Un dato che riduce il saldo demografico delle imprese a ad appena 12.681 unità, il valore più modesto dal 2004 ad oggi; inoltre il numero di imprese registrate (su cui incidono anche le cancellazioni d’ufficio, non calcolate nel numero sopra indicato delle imprese che hanno cessato l’attività) è calato da 6.093.158 di fine 2012 a 6.061.960 a fine 2013, allontanandosi ancor più dal picco di 6.125.514 imprese toccato a fine 2006 nonostante tassi di crescita (legati al saldo anagrafico) che pur rallentando anno per anno sono rimasti finora sempre positivi.

Come se ne esce? Gli uomini del Credit Suisse sostengono che i dati sulla produzione industriale rafforzano la tesi di una “tiepida ripresa” per il Bel Paese, che nel 2014 dovrebbe beneficiare di “una politica fiscale molto meno restrittiva di quella degli ultimi due anni”, mentre il pagamento di circa 50 miliardi (pari al 3,2% del Pil) di crediti arretrati da parte dello Stato alle imprese “dovrebbe dimostrarsi un’ulteriore importante sostegno all’economia” e persino “il credit crunch dovrebbe allentarsi, mentre le condizioni finanziarie si ristabilizzano e la frammentazione nell’area si riduce”. Con in più la possibilità che “Destinazione Italia” riesca effettivamente ad attirare qualche nuovo investimento straniero che contribuirebbe a irrobustire la ripresa. Un quadro fin troppo idilliaco, che gli stessi analisti correggono segnalando alcuni rischi, anzitutto legati alle persistenti incertezze del quadro politico, per quanto “il rischio di elezioni anticipate resti minimo, secondo noi”.

Le pressioni sul governo Letta sono e paiono destinate a rimanere “elevate”, ma gli analisti scommettono che proprio la debolezza economica, l’incertezza riguardo la reale consistenza di partiti e partitini del Centro-Destra (in particolare del movimento guidato dal vicepremier Alfano), la forza del movimenti antipartitico M5S di Beppe Grillo, “per quanto in calo dai picchi dello scorso anno”, nonché i termini relativamente stretti per andare a votare in primavera prima del semestre europeo, dovrebbero far durare l’esecutivo guidato da Enrico Letta fino almeno al 2015. Ma attenzione: “quest’anno non va sprecato” ammoniscono gli esperti (Giovanni Zanni e Violante Di Canossa) che notano come finora sia mancata una decisa azione di governo e anche l’attuazione dei provvedimenti varati abbia prodotto risultati contrastanti.

Tasse e lavoro restano i due punti “caldi” su cui Letta dovrebbe avanzare proposte, ma anche “il mantenimento dello status quo” potrebbe riportare l’economia italiana su un sentiero di (sia pure modesta) crescita. Specialmente se la Commissione Ue non aprirà una nuova procedura di infrazione nel caso, molto probabile, in cui il rapporto deficit/Pil scivoli nuovamente oltre il 3% (gli esperti prevedono un 3,2% a fine anno), visto che le misure già varate dalle ultime finanziarie dovrebbero ridurre di mezzo punto il deficit nel 2015. Insomma: servirebbe un po’ più di aiuto dalla Bce e un po’ più di comprensione dalla Commissione Ue per ridare fiato a un paese che di suo ha ancora una strada lunga e tortuosa davanti. Posso solo aggiungere: speriamo bene.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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