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Opinioni

La battuta di Grillo sulle donne ci dice che le quote rosa non bastano

Dall’uso del possessivo per parlare delle donne a depilazione e abitudini sessuali come argomento politico: le parole del comico fondatore del M5S dimostrano che non basta la presenza femminile nelle istituzioni per combattere il sessismo.
A cura di Roberta Covelli
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Dall’abbandono del blog personale come house organ al crescente spazio pubblico concesso al (cosiddetto) candidato premier Luigi Di Maio, sembra che Beppe Grillo, per sua scelta o per calcolo di altri, si sia almeno in parte defilato dalla campagna elettorale appena conclusa, per tornare a teatro. Le esibizioni del comico genovese non sono però più solo intrattenimento e non solo per il ruolo politicamente attivo che ha ricoperto: se la satira è contro il potere, averne ottenuto una buona quota trasforma gli sfottò in bullismo politico, il linguaggio dissacrante in banale insulto.

Questa volta la battuta, con l’intento di ridicolizzare Berlusconi ed esaltare i Cinque Stelle, colpisce però le parlamentari pentastellate. Marco Travaglio, presente alla serata dello spettacolo Insomnia, riporta nel suo editoriale questo virgolettato di Grillo:

Ora lo psiconano vuole incontrarci, vorrà capire se nel Movimento c’è fica. Ma le nostre sono donne diverse dalle sue, forse non la danno neanche ai mariti. E hanno appena cominciato a depilarsi.

Il sottotesto sessista della battuta non può essere considerato una semplice gaffe: condensare così tanti luoghi comuni sulla donna in meno di quaranta parole non può che indicare un retropensiero radicato, da cui è necessario che gli esponenti, maschi e femmine, del M5S si dissocino.

Primo, il possessivo riferito alle donne, le “nostre”, le “sue”: davvero le donne (in politica e non) appartengono a qualcuno?

Secondo, l’identità tra donna e genitali femminili: il primo modo in cui viene definita una donna, che sia berlusconiana o pentastellata, è rispetto alle sue abitudini sessuali. Avviene lo stesso per un uomo politico?

Terzo, lo stereotipo del contrappasso: se le parlamentari cinque stelle sono oneste, allora, di contro, saranno trascurate, poco attente al loro lato estetico, alla loro femminilità comunemente intesa, come se curarsi fosse sintomo di disonestà o di superficialità.

Si potrebbe controbattere che, comunque, il Movimento 5 stelle rappresenta oggi il partito più “rosa”, con oltre il 40% di parlamentari donne elette. Ma vantarsi di questo dato, di fronte a queste parole di Grillo, sarebbe come esultare per l’elezione di una presidente del Senato come Maria Elisabetta Alberti Castellati, solo perché donna: non basta la presenza femminile nelle istituzioni per affrontare seriamente la questione di genere, sarebbe fin troppo semplice. Servirebbe invece, innanzitutto, superare culturalmente quegli stereotipi che permeano la battuta di Grillo e il dibattito politico in generale: la donna bella ma stupida, la donna di successo che deve essersi concessa a qualcuno, la donna intelligente e onesta che allora deve essere casta fino all’eccesso e brutta, o almeno trascurata.

Ma, soprattutto, preoccupa quel possessivo, che tanto piace a certi maschi: le “nostre” donne, le definisce Grillo. E invece le parlamentari pentastellate, che siedono nelle stesse Camere da cui sono passate Nilde Iotti e Lina Merlin, Franca Rame e Tina Anselmi, hanno il dovere morale di ribellarsi a questo linguaggio e a questo retropensiero: perché le donne non appartengono a Grillo, né a Berlusconi, né a chicchessia.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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