Tre indagati per la morte di Riccardo Zappone a Pescara: ancora ombre sull’uso del taser

Ci sono tre indagati per la morte di Riccardo Zappone, il 30enne deceduto a Pescara in seguito a un intervento della polizia durante il quale è stato utilizzato un taser. Le persone finite sotto inchiesta non appartengono alle forze dell’ordine, ma sarebbero coinvolte nella rissa che ha preceduto l’arrivo degli agenti.
La colluttazione, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe avvenuta all’interno di un’officina del quartiere San Donato, dove il giovane sarebbe stato aggredito o coinvolto in uno scontro fisico. Per tutti e tre gli indagati l’ipotesi di reato è al momento quella di lesioni.
Le indagini, coordinate dalla Procura di Pescara, puntano a ricostruire nel dettaglio la sequenza dei fatti che hanno portato alla morte di Zappone. Al centro dell'inchiesta rimangono anche le modalità dell’intervento della polizia e, in particolare, l’impiego della pistola a impulsi elettrici, utilizzata per immobilizzare il ragazzo poco prima che accusasse un malore fatale.
Le reazioni politiche: "Il taser salva vite" vs. "Va vietato"
Il caso ha subito innescato un acceso dibattito pubblico. Il vicepremier Matteo Salvini ha difeso l’operato delle forze dell’ordine, sottolineando che “il taser ha salvato centinaia di vite e prevenuto migliaia di reati”. Secondo il leader della Lega, mettere in discussione questo strumento significherebbe “mettere in discussione la libertà di azione delle forze dell’ordine”, un rischio che – a suo dire – condurrebbe all’anarchia.
Di tutt’altro tono il commento di Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista, che ha attribuito responsabilità bipartisan all’attuale diffusione del taser, chiedendone il divieto. A sostegno delle sue dichiarazioni, Acerbo ha richiamato anche i dati pubblicati da Amnesty International, secondo cui l’uso improprio di queste armi “meno letali” solleva interrogativi gravi in molti Paesi. Il rapporto cita espressamente i dispositivi prodotti dalla statunitense Axon Enterprise, attualmente impiegati da oltre 18mila forze dell’ordine in più di 80 Stati.
Il ministro Piantedosi: "Serve chiarezza, ma il taser è spesso necessario"
Anche il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è intervenuto sul caso. Ha espresso cordoglio per la morte del giovane e ribadito che verranno svolti tutti gli accertamenti necessari per verificare l’eventuale nesso tra l’uso del taser e il decesso. "È interesse anche nostro capire cosa sia accaduto", ha dichiarato, sottolineando però che il taser rappresenta spesso un’alternativa meno offensiva rispetto all’arma da fuoco.
Secondo Piantedosi, l’intervento degli agenti si è reso necessario a causa del comportamento del ragazzo, che stava dando in escandescenza, mettendo a rischio la propria incolumità e quella di chi gli stava intorno. Ma è proprio su questo punto che emergono i primi dubbi, sollevati soprattutto dalla famiglia del 30enne.
Il dolore del padre: "Riccardo era fragile, ma si poteva evitare"
Andrea Zappone, padre di Riccardo, ha parlato apertamente in un’intervista al quotidiano Il Centro, ponendo interrogativi che aggiungono un nuovo livello di complessità alla vicenda: “Le forze dell’ordine sapevano chi fosse mio figlio, conoscevano la sua patologia. Era davvero necessario arrestarlo? Non era forse più opportuno chiamare il 118 e disporre un TSO, come fatto in passato?”.
Il padre ha raccontato anche di una telefonata avvenuta poco prima della tragedia, durante la quale Riccardo gli era parso agitato. "Forse avrei dovuto dare più peso a quella chiamata", ha detto con rammarico, spiegando che con il tempo era diventato difficile distinguere i segnali di allarme dal comportamento abituale del figlio. Riccardo viveva da solo a San Giovanni Teatino, in provincia di Chieti, ed era seguito dal Centro di salute mentale, anche se rifiutava le cure.
"Farò di tutto per conoscere la verità", ha aggiunto il padre. Un impegno che ora si intreccia con le indagini della magistratura, chiamata a chiarire se la scarica elettrica ricevuta durante l’arresto abbia avuto un ruolo nel malore che ha portato alla morte del ragazzo, o se la causa vada ricercata altrove.