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Stupro di gruppo a Catania

Stupro di gruppo a Catania, procuratrice dei minori: “Giovani sempre più violenti, modelli social negativi”

In una lunga intervista la procuratrice capo del Tribunale dei minori di Palermo, Claudia Caramanna, ha commentato la notizia della violenza di gruppo ai danni di una 13enne avvenuta a Catania, basandosi sulla sua esperienza. “I giovani non hanno empatia per le vittime, le donne sono oggetti. Sui social trovano spazio modelli negativi”, ha spiegato.
A cura di Eleonora Panseri
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La violenza di gruppo ai danni di una 13enne, che sarebbe avvenuta il 30 gennaio scorso nei giardini comunali di Villa Bellini a Catania, ricorda per molti aspetti lo stupro del 7 luglio subito da una 19enne palermitana, abusata da sette coetanei, uno dei quali minorenne.

A dirlo è la procuratrice capo del Tribunale dei minorenni di Palermo, Claudia Caramanna, che in una lunga intervista al Giornale di Sicilia ha parlato di un fenomeno, quello della violenza tra minori, drammaticamente in crescita e ha puntato il dito contro i social.

"Dalle notizie che ho potuto leggere, le due vicende sembrano molto simili. Alla base di tutto c'è l'amara constatazione che i giovani sono sempre più violenti e che si comportano con le donne come se fossero degli oggetti. Non hanno nessuna empatia per le vittime, non capiscono le sofferenze che possono provocare e comunque non se ne curano affatto", ha spiegato Caramanna.

La pm: "I social cassa di risonanza dei modelli negativi"

"I social hanno fatto da cassa di risonanza ai modelli negativi: quasi tutti, infatti, fanno i video e poi li postano per mostrare agli amici cosa hanno combinato. Ma, grazie al decreto Caivano, qualcosa sta cambiando, non c'è più quella sensazione di impunità per il fatto di essere minorenni: ora possiamo intervenire arrestando chi si macchia di crimini gravi", ha aggiunto la magistrata.

"Abbiamo registrato un forte incremento delle lesioni personali e di risse in cui sono coinvolte baby gang o ragazzi che hanno superato da poco la maggiore età. – osserva – È l'ennesimo segnale della rabbia e del disagio che agita questa generazione, acuiti probabilmente a causa delle restrizioni provocate dal Covid".

"Nazionalità non c'entra, tanti ragazzi lasciati soli dalle istituzioni"

"La nazionalità non c'entra. – aggiunge Caramanna – Le famiglie, in particolare quelle che vivono in contesti difficili, non sempre riescono a trasmettere i giusti valori ai loro figli. Ma è anche vero che tanti ragazzi sono stati lasciati soli dalle Istituzioni in quartieri dormitorio dove non c'è nulla: le risorse sono poche ma bisogna agire al più presto aumentando il personale dei servizi sociali mettendo a disposizione strutture per ricreare quel senso di comunità che, in questi posti, è andato perduto".

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