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Strozzata con la catena di una bici dopo un approccio sessuale: il caso Giorgia Padoan

Strangolata con la catena di una bicicletta, dopo un approccio sessuale, lasciata seminuda sul divano. Giorgia Padoan aveva solo 21 anni quando è stata uccisa nel suo appartamento a Torino il 9 febbraio del 1988, ma dopo trentadue anni e  – una confessione – il suo assassino è ancora a piede libero.
A cura di Angela Marino
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Strangolata con la catena di una bicicletta, dopo un approccio sessuale, lasciata seminuda sul divano. Giorgia Padoan aveva solo 21 anni quando è stata uccisa nel suo appartamento a Torino, ma dopo trentadue anni e  – una confessione – il suo assassino è ancora a piede libero.

La storia di Giorgia Padoan

Era il 9 febbraio del 1988, Giorgia era al secondo anno di Lingue all’Ateneo Magistero di Torino. Figlia di separati, il papà lavorava per una palestra, lei abitava con la mamma al terzo piano di un palazzo di mattoni marroni in via Gottardo, nella città all'ombra della Mole. La svegliò, verosimilmente, il suono del citofono che trillava. Giorgia si trascinò in pigiama ad aprire la porta, prendendosi solo il tempo di applicare le lenti da vista a contatto. Strano vezzo. Non si lavò il viso, non si cambiò, ricevette l’assassino in pigiama, ma ci tenne a indossare le lentine invece di inforcare un paio di occhiali. Ad ogni modo preparò due tazze di caffè bollente per lei e il suo ospite, le portò in soggiorno. Di lui sappiamo solo che era alto e calzava un paio di scarpe carroarmato numero 44, ne lascerà l’impronta nel caffè versato sul pavimento durante la colluttazione.

Il caffè con l'assassino

Giorgia, verosimilmente, aveva lottato per difendersi da un’aggressione sessuale, lui le aveva lascia lividi e graffi sulle gambe. Poi le aveva stretto la gola con qualcosa che venne identificato con la catena di una bicicletta. Infine era fuggito, lasciando le manopole del gas del cucinino aperte, forse nella speranza che esplodesse tutto. Sarà la mamma di Giorgia, impiegata all’ufficio postale, a trovarla cadavere nell’appartamento al ritorno dal lavoro, alle 14. In casa erano spariti solo poche migliaia di lire e dei gioielli, nessun segno di scasso. Quei due caffè, del resto, parlavano chiaro, altro che rapina. Le indagini, che all’epoca non potevano contare sul DNA, partirono da quell’impronta di scarpa taglia 44 e dalle cento pagine del diario ‘Smemoranda' di Giorgia, dove non c'era altro che i pensieri in libertà di una ragazza romantica e sognatrice. Alcuni nomi ricorrevano, però, anzi, uno in particolare, quello del ragazzo di cui era innamorata, sembrava degno di attenzione. Si approfondì la posizione di quel giovane senza trovare nulla, finché non avvenne qualcosa che rovesciò ogni sforzo. Fu una telefonata sulla linea di Roberto Padoan, il papà di Giorgia:

Sono stato io a uccidere. Non volevo farlo, ma l'ho fatto. Vado in questura a costituirmi.

La voce del professore in quel nastro di tanti anni fa

Roberto, che ormai ha smesso le vesti del padre e adottato quelle dell’investigatore, ebbe la furbizia di chiedere al misterioso telefonista, un uomo con un accento alessandrino, di richiamare e così registrò la telefonata. L'uomo non si costituì come aveva promesso, ma che fosse veramente l’omicida oppure no, la sua voce finì negli atti dell’inchiesta che di lì a sarebbe stata verrà archiviata. Venticinque anni dopo accade qualcosa di altrettanto sorprendente, spuntò un indagato, un professore universitario, ex studente del Magistero. La sua voce coincideva perfettamente con quella del telefonista anonimo. Negò di aver anche solo conosciuto Giorgia, il suo legale presentò le buste paga che attestavano che nel giorno incriminato non prese permessi né ferie. Poi, il maturo professore si offrì volontario per andare dal PM a capo l’inchiesta. "Le chiedo scusa dottoressa, ma non me la sento più di parlare. Sono cardiopatico e potrei non reggere all'emozione".

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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