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Il rapimento di Silvia Romano in Kenya

Silvia Romano racconta la conversione all’Islam: “Una mia scelta, ora mi chiamo Aisha”

Il racconto della cooperante italiano liberata sabato ai pm: “Mi hanno trattata sempre con rispetto. Non ho mai temuto di morire”. E il percorso di conversione all’Islam di Silvia Romano passa anche per l’adozione di un nuovo nome: “Ho chiesto il Corano, ci sono arrivata da sola, lentamente”.
A cura di Biagio Chiariello
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“I primi tempi non ho fatto altro che piangere, poi però mi sono fatta coraggio e ho trovato un equilibrio interiore. Piano piano è cresciuta dentro di me una maturazione che mi ha convinto a convertirmi all’Islam”. E quel punto ha scelto il suo nuovo nome: Aisha, come la moglie favorita di Maometto. Davanti al pm Sergio Colaiocco, responsabile dell’antiterrorismo della procura di Roma guidata da Michele Prestipino e gli ufficiali dei carabinieri del Ros, Silvia Romano ha raccontato il periodo della sua prigionia. In particolare due momenti. Innanzitutto quello successivo al rapimento: a Chakama, in Kenya, una persona che conosceva, insieme ad altre, la consegna a quelli che poi, in Somalia, sarebbero diventati i suoi carcerieri. Due gruppi di persone da tre, tutti uomini, tutti col volto coperto quando interagivano con lei.

Trattata sempre bene dai rapitori

Il primo mese è il più duro: Silvia viaggia a lungo per arrivare nei villaggi somali (almeno sei covi diversi). Nel corso dei primi giorni di prigionia ammala, ma viene curata. E trattata sempre bene.

“Non mi hanno mai picchiato, non hanno mai esercitato su di me violenza fisica, sessuale o psicologica. Anzi mi rassicuravano continuamente sul fatto che prima o poi sarei stata liberata. Non mi hanno mai incatenato o tenuta legata. Ero libera di muovermi nei 6 appartamenti dove mi hanno tenuto sequestrata e non ho mai visto in volto i miei carcerieri perché avevano il volto coperto”.

La conversione all'Islam

Quando diventa palese che sarebbe rimasta in quello specifico nascondiglio sotto sorveglianza, chiede un taccuino, una sorta di diario per annotare gli spostamenti e il trascorrere dei giorni. E poi un Corano. “Mi hanno sempre portato rispetto. E anche la conversione all’Islam è stata una mia scelta, non ho ricevuto alcuna pressione. Ci sono arrivata lentamente, più o meno a metà prigionia, non è stata una svolta improvvisa” racconta. Una decisione culminata con la Shahada, il rito della testimonianza di fede. "La cerimonia di conversione è durata pochi minuti, in cui ho espresso la mia volontà a diventare musulmana. Ho recitato le formule per manifestare la mia convinzione che non c’è Dio all’infuori di Allah. E così mi sento ancora adesso. Io ci credo veramente".

Il rilascio

Silvia scopre di essere a Mogadiscio solo al momento del rilascio. "Me lo hanno detto i sequestratori, che già due giorni prima mi avevano avvertito che mi avrebbero liberato. ‘Ti riconsegniamo, preparati' mi hanno detto e poi dopo due giorni di viaggio sono stata consegnata a Mogadiscio". Al momento si parla di un riscatto compreso tra i 2 e i 4 milioni di euro. "Non ho mai temuto di morire. A parte i primi giorni in cui ero veramente disperata, ho imparato a credere alla loro promessa di essere liberata".

Il papà di Silvia: "Mia figlia non è mai voluta diventare icona"

"Penso che, come lei ci siano, tanti ragazzi che si danno da fare per il prossimo e che sono in prima linea per conquistare il mondo che vorrebbero: un mondo diverso e più giusto. Ma mia figlia non è andata in Africa per diventare un'icona, è partita perché era quello che sentiva nel cuore". Lo ha affermato Enzo Romano, papà di Silvia, in un'intervista al quotidiano ‘Quotidiano Nazionale' all'indomani del rientro in Italia della cooperante. "Era quello che voleva fare: lavorare per gli altri, mettersi al servizio di persone meno fortunate e aiutarle grazie alle sue capacità e al suo sorriso. – ha continuato Enzo Romano – Poi si è trovata a diventare un'icona, per ciò che le è capitato. Ma, ripeto, ci cono tanti giovani attivi per il cambiamento. Ora, l'importante è che sia tornata da noi sana e salva".

Il diario è rimasto ai rapitori

Il diario su cui Silvia Romano descriveva i giorni della sua prigionia in Somalia è rimasto nelle mani dei rapitori. In base agli elementi forniti dalla giovane nel corso del colloquio con gli inquirenti, durato oltre 4 ore, la ragazza è stata tenuta in ostaggio sempre dallo stesso gruppo terroristico islamista Al Shabaab dopo essere stata ceduta dal commando armato formato da otto persone che l'aveva prelevata in un centro commerciale in Kenia nel novembre del 2018.

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