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Sesso come cura e abusi, Procura chiede il carcere per il ginecologo Miniello: “Criminale seriale”

La procura di Bari chiede il carcere per il ginecologo Giovanni Miniello, arrestato per violenza sessuale aggravata nei confronti di due pazienti: “Non possiede alcun freno inibitorio”.
A cura di Susanna Picone
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Giovanni Miniello deve andare in carcere. È questa la richiesta della Procura di Bari per il ginecologo barese arrestato il 30 novembre scorso per violenza sessuale aggravata nei confronti di due pazienti. Il procuratore Roberto Rossi con l'aggiunto Giuseppe Maralfa e le sostitute Larissa Catella e Grazia Errede hanno impugnato l'ordinanza dei domiciliari, contestando la misura cautelare applicata dal gip e chiedendo quella più restrittiva del carcere, la insussistenza delle ipotesi di tentata violenza sessuale e la improcedibilità di alcuni reati per querela tardiva di altre due presunte vittime. La Procura parla di "aberranti modalità della condotta" del ginecologo. “È evidente – scrivono i pm – come ci si trovi di fronte a un criminale seriale che ha dato ampia prova negli anni di non possedere alcun freno inibitorio e, conseguentemente, il rischio di reiterazione appare elevato oltre misura, sicché palesemente erronea è la scelta di concessione degli arresti domiciliari, laddove ci si trova in presenza di un soggetto che nel corso degli anni in più circostanze ha tenuto in spregio assoluto leggi, etica professionale e morale”.

Miniello è accusato di aver spinto alcune pazienti ad avere rapporti sessuali con lui come “cura” per il papillomavirus e per prevenire il tumore dell'utero. Non solo: avrebbe compiuto abusi sulle pazienti durante le visite palpeggiandole nelle parti intime. Secondo i pm "la prospettazione della possibilità di guarigione dalla patologia attraverso la terapia consistente nella diretta trasmissione di anticorpi tramite rapporti sessuali ripetuti con lo stesso indagato, ove si consideri il peso e la tipologia delle minacce prospettate, ovvero l'evoluzione della patologia in un tumore al collo dell’utero, sia lo stato di inferiorità psichica in cui versavano le vittime al momento del fatto, aveva una efficacia intimidatoria idonea a configurare l'elemento costitutivo della minaccia”.

Il medico, secondo la Procura, avrebbe tenuto nei confronti delle vittime un comportamento attivo di “persuasione sottile e subdola, finalizzato a spingere, istigare o convincere le vittime a subire atti sessuali che diversamente le stesse non avrebbero compiuto e che, per fortuna, non hanno compiuto per cause del tutto indipendenti dalla volontà della persona sottoposta alle indagini". Con riferimento alla improcedibilità per querela tardiva i pm hanno sottolineato che le pazienti hanno "avuto contezza certa di avere subito una violenza sessuale e non una visita ginecologica" solo molto tempo dopo i fatti.

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