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“Sentiamoci tutti coinvolti”: al funerale di Vanessa Zappalà l’appello contro la violenza sulle donne

Piazza Sant’Alfio, a Trecastagni (Catania), è piena di gente. Lo sarebbe ancora di più se le restrizioni anti-Covid non avessero costretto l’amministrazione comunale a stilare una lista di partecipanti alle esequie di Vanessa Zappalà, uccisa dall’ex fidanzato Tony Sciuto. Tanti sono rimasti fuori ad ascoltare le parole dei due sacerdoti che hanno lanciato il loro messaggio contro la violenza sulle donne e il femminicidio.
A cura di Luisa Santangelo
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La bara bianca di Vanessa Zappalà
La bara bianca di Vanessa Zappalà

“Dio non voglia che ci sia un Quinziano tra di noi, o tra coloro che ci seguono con i mezzi di comunicazione. Bisogna estirpare dal nostro cuore il Quinziano che freme e ruggisce”. Il discorso lo centra don Orazio Greco, parroco del Santuario dei martiri Alfio, Filadelfo e Cirino, di Trecastagni, nel Catanese. Davanti al suo pulpito, prima della piazza piena di gente con un simbolo rosso addosso, c’è la bara bianca di Vanessa Zappalà. Venticinque anni, lavoratrice in un panificio della zona, vittima di femminicidio. Uccisa a colpi di pistola da Antonio “Tony” Sciuto, l’ex fidanzato 38enne che la seguiva, la minacciava, la aggrediva. Fino a che non l’ha ammazzata nella notte tra domenica e lunedì, mentre lei passeggiava nella frazione marinara di Acitrezza. Dopo la fuga, il corpo di Sciuto è stato ritrovato senza vita: impiccato in un casolare, suicida. Quinziano è l’uomo che, secondo la storia, ordina il martirio di Sant’Agata, la patrona di Catania. La santa ragazza mutilata prima e uccisa poi perché non vuole cedere al corteggiamento di un uomo.

Per don Greco, Quinziano è Tony Sciuto. Ma i Quinziano sono tanti: gli stupratori, gli sfruttatori delle vittime di tratta, tutti coloro che “pensano di essere proprietari di una donna, moglie o figlia che sia”. E possono essere ovunque, dice il parroco. Perfino nella piazza che piange una concittadina amata. Almeno finché dal cuore dell’uomo Quinziano non sia stato estirpato. Lo dice con le parole della religione, citando il collega catanese – venuto a mancare nel 2019 – don Gaetano Zito, ma il senso è lo stesso delle parole di Carmen, che con Vanessa lavorava “tutti i giorni, dieci ore al giorno”: “È giusto pensare alle leggi, ma sono le teste che vanno cambiate. Le teste: bisogna insegnare il rispetto da piccoli”. A scuola, all’asilo. In famiglia, soprattutto. “C’è troppa violenza, c’è troppo maschilismo. C’è troppo di tutto”, aggiunge, esasperata.

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È vestita di nero e indossa una mascherina rossa. La stessa che hanno anche altri. Qualcuno ha un foulard di quel colore attaccato alla borsa. Qualcun altro, la maggior parte delle persone, ha un fiocco appuntato sul petto. Lo stesso fiocco si trova sui portoni delle case, accanto ai citofoni, vicino alle saracinesche abbassate degli esercizi commerciali chiusi per il lutto cittadino. Il sindaco Giuseppe Messina lo ha proclamato appena ha potuto. Quando c’è stata la conferma che il corpo di Vanessa sarebbe tornato a casa, senza il bisogno dell’autopsia. La procura di Catania ha permesso che la salma venisse restituita ai familiari in tempi brevi, per consentire le esequie e il saluto dell’intera comunità. “L’amore non possiede, l’amore vuole donarsi – dice dall’altare monsignor Salvatore Genchi, vicario generale dell’arcidiocesi di Catania – Quando ci sono il dolore e la violenza, l’amore ha smesso di esserci. E noi tutti dobbiamo sentirci interpellati”.

Gli applausi incorniciano ogni movimento della bara, mentre in piazza Sant’Alfio non si sentono altri rumori. I palloncini bianchi e rossi vengono lasciati volare in cielo alla fine della funzione religiosa. Amici e parenti abbracciano i genitori di Vanessa. La mamma si regge difficilmente in piedi. A tratti la sorreggono, mentre guarda la bara bianca. Il papà non dice una parola. “Dobbiamo farci portavoce di una richiesta a livello nazionale: che la legge, dove è lacunosa, venga integrata”, commenta il primo cittadino. Sciuto era stato denunciato, arrestato e rimesso in libertà. Il divieto di avvicinamento è diventato carta straccia, senza altre misure che lo tenessero lontano da lei. Anche questo è un tema, sebbene non il solo. “Intanto continuiamo a piangere vittime – conclude Messina – Avevamo già i nomi di due giovani donne sulle nostre panchine rosse, adesso dovremo aggiungere il terzo”. Il bilancio è ben triste.

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