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Rubavano identità ad anziani ricchi per truffare le banche: 5 in manette a Palermo

La serie di truffe smantellata nelle scorse ore dai carabinieri di Bagheria, nel Palermitano, che hanno tratto in arresto cinque persone tra due dipendenti pubblici.
A cura di Antonio Palma
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Rubavano identità ad anziani ricchi e con i documenti contraffatti chiedevano prestiti e finanziamenti a varie banche per poi incassare i soldi e sparire senza restituirli. È questo il meccanismo alla base di una serie di truffe seriali smantellata nelle scorse ore dai carabinieri di Bagheria, nel Palermitano, che hanno tratto in arresto cinque persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alle truffe e sostituzione di persona, fabbricazione di documenti falsi, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ed accesso abusivo ad un sistema informatico. In tutto sono dodici gli indagati tra cui due dipendenti pubblici che figurano tra i destinatari delle misure di custodia cautelare in carcere.

Per mettere in piedi la truffa, indispensabile infatti è stato il coinvolgimento di alcuni dipendenti pubblici attraverso i quali reperire i documenti necessari a creare le finte identità e a renderle poi credibili. Si tratta di un impiegato del Comune di Palermo in servizio all'ufficio anagrafe e un funzionario della Regione siciliana impiegato al Dipartimento dello sviluppo rurale e territoriale. In tutto sono diciotto le truffe ricostruite finora dai carabinieri della compagnia di Bagheria che hanno condotto le indagini, per un giro d'affari di almeno mezzo milione di euro realizzato nell'arco di un anno.

L'Inchiesta è durata dal dicembre 2019 all'agosto 2020 e ha permesso di invidiare un modus operandi del gruppo molto consolidato che ha portato a una serie di truffe seriali. Una volta individuate le ignare vittime dei furti di identità tra pensionati benestanti, attraverso l'impiegato comunale, entravano nei sistemi informatici dell'Anagrafe procurandosi i numeri dei documenti d’identità e le altre informazioni necessarie. Poi avveniva la truffa vera e propria con richieste di finanziamento personale a numerosi istituti di credito per le somme più disparate, comprese tra i 12.000 e gli 80.000 euro, o anche per l’acquisto di autovetture, che poi sarebbero state subito rivendute a terzi. Per rendere vani eventuali controlli, il funzionario regionale forniva il numero di telefono fisso del proprio ufficio, da indicare nella stipula del contratto a garanzia del finanziamento. Tra gli altri indagati a piede libero vi sono coloro che si limitavano a fornire la propria foto per realizzare i documenti falsi, poi utilizzati nelle truffe.

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