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Più acuta è la crisi, più aumenta il gioco d’azzardo. E i suicidi che somigliano ad omicidi

Più la crisi diventa acuta, più si gioca d’azzardo. E poi, chiudendo la catena funebre delle false speranze, aumentano anche i suicidi. Ma sicuri che alla fine non possa parlarsi di “omicidi”?
A cura di Antonio Menna
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Un ragazzo nella notte di ieri è salito su un muraglione ad Ischia e si è lasciato cadere di sotto, morendo. In tasca un biglietto di scuse alla mamma: “ho perso tutto al gioco”. Tutto erano più o meno mille euro. Chissà cosa è scattato nella mente di questo giovane figlio di operai. La vergogna, il dispiacere, una sensazione di inadeguatezza. Difficile guardare dietro un suicidio. L’istinto più violento è la sopravvivenza. Si farebbe qualsiasi cosa per salvarsi la vita. Poi qualcuno se la toglie. Pare che il giovane fosse spaventato dall’indigenza economica. Si stava affacciando sul mondo del lavoro, guardando l’abisso. Si era legato al gioco come speranza. Forse l’illusione della svolta. Pare che nei Paesi occidentali più è acuta la crisi più cresca il volume d’affari di lotti, riffe, gratta e perdi, bingo e lotterie. E crescono anche i suicidi, come anello finale della catena della falsa speranza, alimentata dal business del gioco. Sicuri che alla fine non si tratti di omicidi?

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Antonio Menna, giornalista, scrittore autore tra gli altri del libro "Se Steve Jobs fosse nato a Napoli".
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