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“Non andiamo più a scuola, è pericoloso”: in Sardegna gli studenti in sciopero da una settimana

“Prendere il pullman tutti ammassati è pericoloso, di conseguenza anche andare a scuola lo è: non possiamo scegliere tra il nostro diritto a un’istruzione e il diritto alla salute, per ora restiamo a casa”. La voce degli studenti sardi, in sciopero da una settimana, si fa sempre più forte: “Non andiamo a scuola da mercoledì, non è più possibile continuare a viaggiare su mezzi super affollati, non possiamo fare finta di niente”, spiegano gli studenti. “Vogliamo tornare a scuola in sicurezza il prima possibile, ma la politica ci ha abbandonato”.
A cura di Lisa Ferreli
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In Sardegna al momento sono tredici gli Istituti dove gli alunni hanno aderito allo sciopero di massa indetto dalla compagine studentesca mercoledì scorso. Al centro della protesta, la questione trasporti: «prendere il pullman tutti ammassati è pericoloso, di conseguenza anche andare a scuola lo è» spiega Alessio Ciriello, studente diciottenne di Senorbì (Sud Sardegna), tra coloro che hanno scelto di non frequentare le lezioni. Secondo quanto dichiarato dagli studenti, nei pullman che conducono dai paesi limitrofi agli Istituti, soprattutto negli orari di uscita da scuola la soglia massima di capienza stabilita dalle Linee guida per il trasporto pubblico (80%) non viene rispettata.

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A testimoniare la loro denuncia anche delle foto che dimostrano gli assembramenti involontari alla fermata del pullman o all'ingresso sul mezzo: «da scuola non usciamo tutti insieme – spiega Franziska, studentessa di Isili (Sud Sardegna) diciassettenne – l'ultima campanella suona in orari diversi a seconda della classe, siamo stati divisi in gruppi ma nonostante ciò la soluzione adottata dalla scuola ha senso, ma fino a un certo punto: il pullman che passa è uno solo, dobbiamo comunque aspettarlo alla fermata tutti insieme; il rischio di contagio c'è, il fatto che ci siano persone in piedi testimonia che la soglia dell'80% viene decisamente superata».

Una situazione che mette quindi a rischio gli scolari i quali, nonostante la mascherina, non si sentono al sicuro: «ci troviamo a scegliere tra il diritto alla salute e il diritto a un'istruzione, e questo è molto grave» prosegue Marco, studente diciassettenne. Nonostante le richieste di aiuto rivolte all'Assessore regionale alla sanità Mario Nieddu e all'Assessore ai trasporti Giorgio Todde, a una settimana dall'inzio della protesta ancora gli studenti non hanno ricevuto risposte: «ci sentiamo abbandonati, siamo una bomba a orologeria e abbiamo paura non solo per noi, ma soprattutto per le nostre famiglie, per i nostri nonni…» aggiunge Franziska, che conclude: «non è più possibile continuare a viaggiare su mezzi super affollati, la soluzione che proponiamo è quella di avviare la didattica mista». Un'erogazione della didattica sia online che in presenza, dove le classi vengono suddivise in turni di frequenza in classe o a distanza, permetterebbe una drastica diminuzione del numero di studenti costretti a recarsi a scuola. La speranza è che, in attesa di una ufficiale proposta risolutiva da parte dell'assessorato ai trasporti, il nuovo dpcm che permette modalità più flessibili dell'attività didattica, favorisca una migliore gestione della situazione scuola. «Stiamo perdendo importanti giornate di lezione – concludono gli studenti – vogliamo tornare in classe in sicurezza il prima possibile, ma la nostra paura è che ci troveremo presto ad essere costretti a tornare a scuola per etica, senza che nulla sia cambiato».

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