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Opinioni

No a niqab e burqa in Lombardia: l’ “esilarante” propaganda della Lega

La Regione Lombardia ha lanciato un divieto alle donne con niqab (in genere le facoltose mogli di sceicchi) e con il burqa (che non esistono in Italia) di entrare negli ospedali lombardi e nelle sedi della Regione Lombardia: sono infatti gli unici spazi in cui è applicabile simile divieto. Solo lo Stato può pronunciarsi. E la legge già c’è.
A cura di Sabina Ambrogi
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Donna con la niqab. Foto @SIA KAMBOU/AFP/Getty Images.
Donna con la niqab. Foto @SIA KAMBOU/AFP/Getty Images.

Tra le misure di sicurezza a vanvera fatte per andare in tv, spicca in queste ore il regolamento della Regione Lombardia lanciato da Maroni sul divieto alle donne di entrare con burqa o niqab negli ospedali lombardi e nelle sedi della Regione. Questi sono infatti gli unici spazi pubblici sui quali una Regione può esprimere un divieto simile. Pertanto la pericolosa – eventuale – attentatrice interamente coperta può girare liberamente in strada, sui mezzi pubblici, entrare nelle scuole, negli uffici postali, nei supermercati e ovunque che non sia un ospedale o un ufficio della Regione. E' lecito quindi pensare, volendo credere alla trovata leghista, che chi volesse fare un attentato si farà presto una ragione di non poterlo fare nella sede della Regione Lombardia e in un ospedale, avendo invece il resto del mondo a disposizione.

Il regolamento pasticcione, destinato a creare confusioni che finiranno inevitabilmente nei tribunali a spese dei cittadini, vorrebbe estendere e attuare la norma che però esiste già (legge 22 maggio 1975, n. 152 , art 5) e che recita:

"E' vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. E' in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino".

Tuttavia, vista la confusione che si è generata soprattutto dopo la propaganda anti-Islam che ormai dura da anni, i tribunali hanno avuto a che fare (a spese pubbliche) con arresti inconsulti, e divieti improvvisi. Una massima della Cassazione ha alla fine stabilito che “il giustificato motivo” menzionato nella norma, fosse l'esercizio – libero in Italia – di culto. Di fatto ammettendo l'uso del niqab. Di certo il regolamento di Maroni non può né aggiungere né levare. Crea discriminazione e confusione e al massimo impedirà a una donna con niqab di curarsi magari di un virus infetto, in ospedale. Sempre ammesso che questa si rechi in ospedale.

Sulla questione l'avvocato Luca Bauccio da sempre impegnato nella tutela dei diritti umani dice:

I principi stabiliti dalla Cassazione dovrebbero essere rispettati da tutti, anche da Maroni. Ma soprattutto, la Costituzione non ha mai affidato la sicurezza dei luoghi pubblici alla Regione: i poteri di polizia sono prerogativa dello stato. La Regione non ha un corpo di polizia e non può arrestare nessuno. Maroni si sta appropriando di un potere che non gli è proprio. Lo ha già fatto con i luoghi di culto imponendo misure di sicurezza come la video sorveglianza all'interno delle moschee, stabilendo in anticipo che una comunità di persone che esercita il proprio culto religioso è pericolosa. E' inaudito: neanche un questore può farlo. A riguardo c'è in corso un giudizio per conflitto di attribuzione davanti alla corte Costituzionale tra Governo italiano e Regione Lombardia. Oltre al fatto che il contenzioso è un costo ma poi per fare cosa? Per disubbidire alle leggi? Quello che sta facendo Maroni con questo divieto sul niqab è un attentato alla Costituzione: non può. Non ne ha la facoltà. Inoltre, se metto un cappello e una sciarpa, che corrisponde al livello di copertura del niqab, e entro in un ospedale, sono allora pericoloso perché lo ha deciso Maroni? La Ue ha detto chiaramente che uno Stato può scegliere di non avere piacere, proprio perché visivamente di grande impatto, di tollerare un velo integrale. Ma è un divieto che decide lo Stato. Non Maroni. Non ha nessun potere né diritto per farlo. Se lo è attribuito da solo”.

L'imbroglio leghista non finisce qui. Il niqab vietato dallo scoppiettante governatore in ospedale e alla sede della Regione Lombardia, è un velo quasi integrale che lascia solo lo spazio per gli occhi. A differenza dell'hijab, che lascia il volto scoperto, è stavolta difficoltoso capire dove finisce il libero arbitrio e dove inizi il condizionamento della donna. Il punto però è che in tutta Italia ci saranno una decina di donne che portano il niqab, molte di queste sono italiane convertite. E' invece soprattutto tipico delle donne di paesi come Qatar e Arabia Saudita, cioè i paesi che non solo si sono comprati l'Europa intera, dalle banche alle squadre di calcio, ma anche mezza Milano con tutti gli stilisti. Come Valentino. Sono le mogli degli sceicchi e non degli immigrati. Sono quelle che girano per via Montenapoleone o per via Condotti a Roma. Vanno in alberghi da migliaia di euro e fanno girare l'economia più loro in dieci giorni di visita che sei mesi di saldi. In Costa Smeralda ad esempio sono previsti staff di parrucchiere – tutte donne – solo per loro quando scendono dagli yacht. E così via.  E c'è da pensare che gliene importi un ble po' poco del divieto di Maroni. Oltre al fatto che sarebbe difficile immaginare che una donna con il niqab, visto il portafoglio a disposizione, se ne vada a farsi curare da un medico – magari da un uomo – di un ospedale pubblico lombardo, aspettando al pronto soccorso con il numeretto, o a farsi fare un certificato nella Regione Lombardia.

Il burqa, ossia il velo integrale che prevede solo una retina che consente di vedere all'esterno, tipico delle donne afghane, invece davvero non lo ha mai visto nessuno in Italia, se non in tv e in un documentario via cavo del National Geographic.

Un regolamento che avrà avuto un costo, veramente utilissimo.

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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