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Morto Ruggero Perugini, il poliziotto della caccia al mostro di Firenze

Prima carabiniere e poi in Polizia, Ruggero Perugini è stato a capo della Squadra antimostro messa in piedi per dare la caccia al maniaco: Celebre il suo appello in tv al mostro di Firenze.
A cura di Antonio Palma
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È Morto Ruggero Perugini, il poliziotto che spese gran parte della sua carriera alla caccia del mostro di Firenze alla guida della cosiddetta Squadra anti mostro. Perugini si è spento a Torino nello scorso weekend all’età di 75 anni dopo una lunga malattia. Celebre il suo appello in tv al mostro, allora sconosciuto, che insanguinò la campagna fiorentina tra gli anni ’60 e ’80 fino all’arresto di Pacciani dei cosiddetti compagni di merende. In uno stile tipico degli Usa dove pure si era formato all'Accademia dell’FBI, Ruggero Perugini si rivolse direttamente in primo piano al mostro di Firenze durante una trasmissione televisiva del 1992 che ripercorreva gli omicidi.

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"Io non so perché, ma ho la sensazione che tu in questo momento mi stia guardando e allora ascolta. La gente qui ti chiama mostro, maniaco, belva, ma in questi anni credo di avere imparato a conoscerti, forse anche a capirti e so, so che tu sei soltanto il povero schiavo, in realtà, di un incubo di tanti anni fa che ti domina. Tu sai come, quando e dove trovarmi, io aspetterò" dichiarò Perugini nel famoso intervento. Prima carabiniere e poi in Polizia, Ruggero Perugini è stato a capo della squadra mobile di Firenze prima di guidare la Sam, la Squadra antimostro messa in piedi per dare la caccia al maniaco.

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A lungo investigatore di punta della questura fiorentina, ha risolto tanti casi ma la sua faccia è legata indissolubilmente al mostro di Firenze e all’arresto di Pacciani. Del resto la sua caccia al mostro di Firenze fu senza tregua e nel 1994 le dedicò anche un libro, "Un uomo abbastanza normale". Fu nel corso delle sue indagini che venne perquisito l'orto di Pacciani e trovato il bossolo con impressa sul fondello la lettera "H", portato poi a processo come ‘prova regina'. Una prova di cui è rimasto sempre convinto durante tutta la fase processuale e anche dopo la scoperta dei compagni di merende che avrebbero affiancato Pacciani nei delitti.

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