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Morta dopo contagio in ospedale Lecce, il figlio: “Era sana, è uscita in una bara. Voglio giustizia”

Chiede verità e giustizia il figlio di Claudia Casarano, la donna di 49 anni morta nei giorni scorsi dopo essere risultata positiva al Covid-19 mentre era ricoverata nel Reparto Oncologico al Vito Fazzi a Lecce. È la settima vittima di un focolaio di Coronavirus scoppiato in ospedale: “In un reparto così delicato non dovrebbe accadere. E come entrare con un mitra e sparare”.
A cura di Susanna Picone
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Chiede verità e giustizia Alessio Russo, 27 anni, figlio di Claudia Casarano, la donna di 49 anni di Racale morta nei giorni scorsi a Lecce dopo essere risultata positiva al Covid-19 diciotto giorni prima mentre era ricoverata nel Reparto Oncologico al Vito Fazzi, dove è scoppiato un focolaio di Coronavirus. "Addio mamma, sei e sarai per sempre l'amore più grande della mia via. Riposa in pace”, aveva scritto il giovane su Facebook dopo la morte della madre, settima vittima del focolaio in ospedale. Al Messaggero il giovane ha ricostruito come sono andate le cose ricordando che non è stato un caso isolato. “Mia madre si sottoponeva da ormai sei anni a cicli di chemioterapia a causa di un carcinoma ovarico. Il 7 febbraio eravamo tornati da Napoli dove si era sottoposta a dei controlli. Il 27 febbraio scorso è stata ricoverata all'Oncologico e come per prassi è stata sottoposta al tampone molecolare dall'esito negativo. Tutto stava procedendo bene al di là dei normali postumi della sua malattia dovuti ai cambiamenti terapeutici. Si sentiva molto meglio fino al 3, quando ci fece sapere che aveva notato uno strano via vai. Aveva supposto fosse accaduto qualcosa di serio e in effetti ci riferì della scoperta di un focolaio in reparto. Quasi tutti i pazienti si positivizzano, compresa lei”.

"In un reparto d'ospedale così delicato non dovrebbe accadere"

Inizialmente la donna era asintomatica: “Ci disse che non riusciva a spiegarsi come mai fosse accaduto, addebitandolo magari a qualcuno che si recava in stanza con la mascherina abbassata durante la distribuzione del cibo. Di certo in un ospedale e in reparto così delicato non dovrebbe accadere. E come entrare con un mitra e sparare”, le parole del figlio. Col trascorrere dei giorni arrivano i primi sintomi: “Prima ha avuto la febbre, poi è scesa la febbre ma ha iniziato a diminuire la saturazione. Ho chiesto che usassero il plasma, che se non ce l'avevano l'avremmo procurato noi da alcuni donatori ma i medici ci dicevano che ci avrebbero pensato loro. Hanno aumentato l'intensità dell'ossigeno nella mascherina. Il 9 marzo ci chiama un medico oncologo che ci riferisce che la mamma ha avuto un peggioramento ed è stato necessario applicarle il casco”. Con le cure sembra migliorare, i familiari parlano con lei al telefono, era fiduciosa, ma i medici evidenziavano un danno irreversibile ai polmoni.

"Mamma è entrata sana in ospedale e ne è uscita in una bara"

"Sono stati giorni di agonia. L'abbiamo sentita il 19 marzo per l'ultima volta. Le ho mandato un messaggio dicendole: mamma basta combattere, dormi non avere paura, sei in pace. Lei mi ha risposto scrivendomi: non ti preoccupare basta… Il 20 nella notte è andata in coma profondo e il 21 alle 2,30 abbiamo ricevuto la telefonata che non avremmo voluto ricevere”, il racconto del figlio al quotidiano. I familiari hanno deciso di presentare denuncia perché “la mamma è entrata sana in ospedale e ne è uscita in una bara”. “Voglio che la giustizia faccia il suo corso e venga stabilito come sono andate le cose. Se qualcuno deve pagare è giusto che paghi, anche di morti ce ne sono stati troppi e altri ce ne saranno e non è corretto che tutto passi in sordina”.

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