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“Mie foto sui muri in città, sto vivendo un inferno”, la 19enne vittima di revenge porn a Foggia

Foto rubate, manipolate e affisse per le strade con nome, indirizzo e frasi oscene. È l’incubo di Arianna, 19enne di Foggia, vittima di revenge porn. “Da maggio di quest’anno la mia vita è stata travolta da un’ondata di odio e violenza”, denuncia sui social. La politica promette interventi, ma lei vive nel terrore quotidiano.
A cura di Biagio Chiariello
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Con il cuore pesante e la voce che a tratti si spezza, Arianna racconta l’abisso nel quale si è trovata: una ragazza di 19 anni di Foggia trasformata, in poche ore, in bersaglio pubblico di una violenza digitale che ha travolto la sua esistenza quotidiana. "Da maggio di quest'anno la mia vita è stata travolta da un'ondata di odio e violenza – dice con la voce rotta dall'emozione in un video postato sui suoi account social ieri sera – Tutto è iniziato con una mia foto assolutamente innocua, scattata da me, solo per me, completamente vestita e che non ho mandato a nessuno. Qualcuno l'ha presa, rubata e manipolata, photoshoppata, togliendo i vestiti, aggiungendo un seno nudo, trasformandola in qualcosa che non esiste, in una immagine sessuale falsa, che però porta il mio volto, il mio corpo, nonché il mio nome Da quel momento è iniziato l'inferno".

La dinamica è quella ormai nota delle pratiche di revenge porn e delle immagini deepfake: materiali privati, spesso presi da account social o telefoni, che vengono alterati e rimessi in circolazione con scopi umilianti e persecutori. Per Arianna la prima ondata è arrivata a maggio; l'immagine, inizialmente virale sui social, nelle settimane successive è riapparsa il 18 luglio con didascalie volgari e offese sessiste. "Quella foto ha iniziato a girare ovunque, tra sconosciuti e per strada, nelle varie zone della mia città. Non avevo fatto nulla di male, ma all'improvviso la mia dignità è stata calpestata, strappata via", racconta.

Il passo successivo ha trasformato la violenza digitale in minaccia concreta: accanto alle immagini false sono comparsi il numero di telefono, l'indirizzo di casa e perfino il piano dell'appartamento.

La cosa più spaventosa però – continua – è arrivata dopo. Hanno cominciato a mettere il mio numero, il mio indirizzo di casa, addirittura il piano, accanto a quelle immagini false. Questo è un crimine e da allora, per tutta l'estate fino a oggi, la mia vita è diventata un vivo con la costante paura che qualcuno possa davvero venire a cercarmi".

Arianna non è rimasta in silenzio: ha sporto denuncia e ha reso pubblica la sua storia con un video che è diventato un appello aperto.

Non voglio più tacere. Perché oggi sono io – precisa – ma domani potrebbe essere tua sorella, la tua migliore amica, tua figlia. Non voglio più avere paura, il silenzio protegge chi fa del male, non chi lo subisce". Il suo grido ha avuto immediata eco istituzionale: la vicenda è finita all'attenzione della commissione parlamentare contro il femminicidio e ha suscitato la solidarietà di esponenti politici locali e nazionali.

Il caso arriva in un momento in cui l'Italia è scossa da scandali analoghi su scala nazionale: nelle ultime settimane forum e gruppi che diffondevano immagini non consensuali sono stati oscurati o cancellati dopo denunce e mobilitazioni. Tra questi, il portale Phica — accusato di ospitare migliaia di immagini rubate e manipolate, comprese foto di donne pubbliche e politiche — è stato oggetto di inchieste e della chiusura forzata da parte degli amministratori, mentre gruppi Facebook come "Mia moglie", con decine di migliaia di iscritti, sono stati rimossi dopo segnalazioni massicce. Le autorità, dalla polizia postale alla magistratura, stanno indagando sui gestori e sui partecipanti a queste reti di condivisione illecita.

Ad accogliere il suo appello straziante è stata la senatrice di Fratelli d'Italia Anna Fallucchi, membro della commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio.

La conosco da quando era bambina, una ragazza per bene, molto brava a scuola, seguita dai genitori – racconta all'Adnkronos – Questa storia va avanti da tre mesi e finalmente ieri sera ha trovato il coraggio di diffondere la storia sui social. Gli organi preposti sono già al lavoro sul caso, stamattina dopo la pubblicazione del video di Arianna, come Commissione femminicidio ci siamo confrontati sulla vicenda. Da mamma di una ragazza che ha la stessa età di Arianna, provo molta paura, anche per la fragilità di questi giovanissimi che subiscono episodi simili e per le possibili, spesso tragiche conseguenze. Ciò che ha subito e subisce questa ragazza può capitare a tutti, è una situazione quasi horror, che solo una mente criminale può elaborare e concretizzare".

Dal punto di vista giudiziario, il quadro è complesso: si tratta di reati che possono andare dalla diffamazione alla violazione della privacy, fino alla specifica fattispecie del cosiddetto "revenge porn" e dell'uso illecito di immagini contraffatte. Le indagini spesso richiedono tempo e cooperazione internazionale, perché i contenuti vengono trasferiti e replicati su piattaforme diverse e in paesi diversi; ma la pressione dell'opinione pubblica e l'attenzione dei media in casi come quello di Arianna spingono per azioni più rapide e misure di tutela concrete per le vittime.

La vicenda di Arianna mette in luce anche la responsabilità collettiva: chi condivide, stampa e affigge immagini nelle strade o le rilancia in chat contribuisce ad alimentare un circuito di odio che porta a conseguenze reali e pericolose. "Basta rubarmi la dignità, infrangere e infangare il mio nome", dice la ragazza, e il suo appello è semplice e netto: non diffondete, segnalate, denunciate. Le istituzioni e le piattaforme hanno il dovere di rimuovere i contenuti illeciti, ma la prevenzione passa anche per una cultura digitale che riconosca il danno inflitto dalle immagini manipolate.

Oggi la 19enne chiede serietà e protezione: vuole tornare a essere una ragazza qualunque, non un bersaglio. La sua storia racconta la potenza distruttiva di un click e la necessità di strumenti legali, tecnici e sociali per contrastare quella che sempre più appare come una forma di violenza di massa. Se il web permette di amplificare l'offesa, deve esistere la stessa capacità di ricostruire la dignità perduta — a cominciare dall'ascolto delle vittime e dall'azione rapida delle autorità.

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