Giovanni Brusca è libero: com’è possibile che l’esecutore della strage di Capaci non debba scontare l’ergastolo

L’ex boss mafioso Giovanni Brusca è un uomo libero, almeno per lo Stato italiano. L’uomo della strage di Capaci che azionò il telecomando della bomba che nel 1992 uccise Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, e condannato anche per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, ha finito di scontare pienamente la sua condanna, compresi gli anni di libertà vigilata, ed ora è libero.
A fine maggio il boss 68enne di San Giuseppe Jato, esponente di spicco dei Corleonesi e braccio destro di Totò Riina ai vertici di Cosa Nostra, ha finito di scontare anche i 4 anni di libertà vigilata che gli erano stati imposti dal Tribunale di sorveglianza dopo la scarcerazione del 2021. Per lui già da allora, dopo 25 anni di carcere, era scattata una nuova vita durante la quale però ha dovuto ancora nascondersi, questa volta dai suoi stessi ex sodali.
Il pentimento del boss dei Corleonesi Giovanni Brusca
Dalla sua scarcerazione, infatti, Brusca ha continuato a vivere lontano dalla Sicilia sotto falsa identità e anche oggi resterà sottoposto al programma di protezione testimoni. Dopo l'arresto e un primo falso pentimento, Brusca infatti decise di diventare collaboratore di giustizia raccontando molto della sua organizzazione criminale e dei delitti, beneficiando delle norme previste dalla legge italiana.
La collaborazione del boss di San Giuseppe Jato, che si è macchiato di decine di omicidi nella sua lunga carriera criminale ai vertici mafiosi siciliani, gli è valsa anche molti sconti di pena previsti dalla legge che gli hanno permesso di evitare la condanna all’ergastolo. Grazie ai suoi racconti, dopo l’arresto nel 1996, fu possibile condannare decine di mafiosi in diversi procedimenti penali in cui si è spesso anche autoaccusato ammettendo di aver eseguito o ordinato oltre 150 omicidi.
Brusca collaboratore di giustizia
Nel 2000 gli viene riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia e grazie ai rilevanti sconti di pena, nel 1997 gli vennero comminati 27 anni di carcere anziché l'ergastolo al processo per la strage di Capaci e la stessa cosa avvenne nel 1999, quando gli furono comminati trent'anni di reclusione per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Nel corso dei vari processi, Brusca ha anche pubblicamente chiesto perdono ai familiari delle sue vittime ma quando venne scarcerato, il 31 maggio 2021 dopo 25 anni di reclusione, le polemiche furono tante sia da parte del mondo politico che da parte dei parenti delle sue vittime. Oggi anche la notizia della chiusura definitiva dei suoi conti con la giustizia italiana ha generato commenti e polemiche come quella della vedova del capo scorta di Falcone che si dice "amareggiata".
"Questa non è giustizia per i familiari delle vittime della strage di Capaci e di tutte le altre vittime. Lo so che è stata applicata la legge ma è come se non fosse mai successo niente…". ha dichiarato all'Adnkronos Tina Montinaro, la vedova del capo scorta di Giovanni Falcone, Antonio Montinaro. "Sì, è vero, ha iniziato a collaborare con la giustizia ma non bisogna assolutamente dimenticare che anche i collaboratori sono dei criminali. Non sono diventate persone per bene" ha aggiunto.