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Le altre voci della COP28. Intervista a tre attiviste climatiche dei paesi del Sud del mondo

Fridays For Future Italia si confronta con attiviste del Sud Globale Carly Leung (Hong Kong), Haja Beltaji (Egitto), Raeesah Noo-Mahomed (Sud Africa) sui risultati di Cop28 e sulla lotta ai cambiamenti climatici.
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La Cop28 si è conclusa da dieci giorni ed è tempo di valutazioni, anche per la società civile. La promessa di progressiva uscita dai combustibili fossili non è arrivata nell'accordo finale. Il testo prevede invece una transizione, senza indicare esplicitamente la velocità di questo processo, se non che si dovrà raggiungere il net zero al 2050.

Però, per la prima volta nel testo conclusivo di una Conferenza delle Parti si parla esplicitamente di combustibili fossili: un primo passo, seppur non molto ambizioso, verso una presa di coscienza sulle cause dei cambiamenti climatici. Il testo riporta, inoltre, la necessità di triplicare le energie rinnovabili e di aumentarne l’efficienza, ponendo queste come le tecnologie vincenti, in quanto si sottolinea che i costi “siano diminuiti costantemente grazie ai progressi tecnologici, alle economie di scala, all'aumento dell'efficienza e ai progressi tecnologici e alla razionalizzazione dei processi di produzione.”

Rimane il fatto che su molti altri fronti anche quest'anno la Cop ha deluso le aspettative. L’agenda dei Paesi MAPA (Most Affected People and Territories), cioè del gruppo di nazioni e di popolazioni maggiormente colpiti dalla crisi climatica, è stata completamente disattesa. Tutti i temi di cui si parla alla Cop, per esempio, il fondo di compensazione per i danni climatici, l’annullamento del debito finanziario e un veloce passaggio alle rinnovabili sono stati ignorati. Già a partire dalla Cop26 Di Glasgow, infatti, era stato siglato un accordo per cui i paesi del Nord del mondo si impegnavano a versare 100 miliardi all’anno per facilitare e accelerare la transizione ecologica nei confronti dei paesi del Sud. Quest’anno non c’è stata alcuna menzione di queste politiche.

Di questo abbiamo parlato con tre attiviste del Sud Globale Carly Leung (Hong Kong), Haja Beltaji (Egitto), Raeesah Noo-Mahomed (Sud Africa).

Tramite quale organizzazione hai avuto la possibilità di prendere parte alla Cop28?

Carly Leung: Ciao a tutti, sono Carly da Hong Kong. Ho avuto il bagde dalla Hong Kong Bapstist University, ma ho partecipato alle proteste a titolo personale  piuttosto che rappresentare l’università.

Raeesah Noo-Mohamed: Buongiorno a tutti, mi chiamo Raeesah Noor Mahomed, sono un’attivista per il clima sud-africana. Ho potuto prendere parte alle Cop28 come attivista grazie all’organizzazione A.N.G.R.Y. (Alliance of Non Governmental Radical Youth).

Haja al-Beltagy: Buongiorno, mi chiamo Haja al-Beltaji, sono una ricercatrice ed un’attivista per il clima egiziana. Ho preso parte alla Cop28 come una dei rappresentanti della delegaziona giovanile di Friday For Future Mapa. Inoltre, ero lì anche per rappresentare A.N.G.R.Y., dove lavoro come coordinatrice regionale delle zone del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale.

Come nella COP27 in Egitto, non è stato facile poter protestare a Dubai. Che aria si respirava? Com’è stato organizzare le proteste?

Carly Leung: Quest’anno i giovani sono stati in prima linea per spingere i Paesi ad adottare degli obiettivi di mitigazione più ambiziosi per il testo GST [Global Stocktake, n.d.a]. L’atmosfera era carica, noi siamo determinati a non arrenderci con i nostri sforzii. Alla Cop le misure di sicurezza erano molto severe, soprattutto nei confronti dei media e dei giovani reporter, che sembrano affrontare della repressione. Nonostante cioè, mi sono sentita molto sicura nel partecipare alle proteste, fintanto che venivano rispettate correttamente le procedure d’azione.

Raeesah Noo-Mohamed: Non sono andata alla Cop27, principalmente perché ero stata alla Cop26 in quanto attivista e non mi sentivo a mio agio a fare attivismo nel contesto egiziano. Quest’anno è stato differente in quanto sono venuta grazie all’Alliance Non Governmental Radical Youth. Diversamente dalla Cop26, dove erano state organizzate azioni ed eventi al di fuori della Cop, qui abbiamo potuto fare delle azioni solo dentro la Cop: è stato strano, perché si ha la sensazione di essere all’interno di uno spazio chiuso. I miei social media sono pieni di contenuti sulla Cop, visto che seguo tante persone che erano lì, ma credo che chi non ha partecipato non ne sapesse molto. Nessuna delle persone che conosco che abita per esempio in Africa centrale o meridionale ha saputo niente sulla Cop: i media non hanno coperto le notizie a riguardo come per la Cop26, che era piena di giovani attivisti. È strano avere a che fare con dinamiche del genere per le proteste, poiché gli Emirati Arabi Uniti hanno leggi molto severe sulla possibilità di protestare, quindi si poteva protestare solo chi era dentro la Cop. Però abbiamo fatto molte azioni per la Palestina e ho postato a riguardo sui social; ho ricevuto alcune risposte da persone che abitano negli Emirati Arabi Uniti che hanno apprezzato molto quello che abbiamo fatto, dato che loro non possono farlo. Questo da una parte è un bene, perché abbiamo dato loro speranza credo, però dall’altra parte è anche strano.

Haja al-Beltagy: Abbiamo visto censura e limitazioni nei confronti del diritto di esprimersi della società civile. Tuttavia, anche se questo spazio doveva essere controllato dall’ONU, abbiamo notato la presenza di forze di sicurezza informali degli Emirati Arabi Uniti, che hanno imposto censura e limitazioni. L’unica grande protesta che abbiamo potuto organizzare sul posto è stata durante il Global Day of Action, il 9 dicembre. È veramente straziante vedere questi episodi all’interno di uno spazio ONU. Non credo che possiamo lavorare in future Cop con censura e limitazioni come queste. Era molto più facile far sentire le nostre voci alla Cop27 in Egitto. Considerando che i nostri spazi si stanno restringendo, così come sta diminuendo il ruolo effettivo dell’ONU negli spazi della Cop, non credo che potremo continuare a lavorare in queste condizioni alle prossime edizioni. Negli spazi coordinati dall’ONU non dovrebbe esserci alcun tipo di intervento da parte del Paese ospitante. È stato veramente brutto vedere una censura del genere da parte degli Emirati Arabi Uniti, per non parlare anche delle migliaia di lobby fossili presenti.

Quali erano i temi su cui la Cop doveva focalizzarsi?

Carly Leung: Mitigazione, adattamento e finanza.

Raeesah Noo- Mohamed: Per quanto riguarda il fondo Loss and Damage, la gestione da parte della Banca Mondiale è problematica, in quanto questo diminuisce le possibilità che le persone che necessitano di questi soldi li ricevano, e questo doveva essere il focus di questo fondo: la situazione cosi, invece, non è molto trasparente.

Un altro tema avrebbe dovuto essere il phase-out dei combustibili fossili: abbiamo lottato tanto per ottenere questo obiettivo ed è stata una grossa delusione vedere che il testo finale non contiene questa parola, che anche se è una può fare davvero una grande differenza. L’esito di questa Cop, quindi, non è stato sufficiente.

Haja al-Beltagy: Personalmente ho seguito le questioni legate al fondo Loss and Damage e all’adattamento. Questi erano i temi su cui secondo me la Cop doveva concentrarsi. Come abbiamo visto, alla Cop27 si era iniziato a parlare del fondo Loss and Damage, ma senza menzionare alcun dettaglio effettivo sui fondi, ad esempio. Io personalmente aspettavo non vedevo l’ora che questa Cop si concentrasse sulla necessità di finanziare il fondo Loss and Damage; è stato veramente brutto che questa Cop sia iniziata con l’erogazione di milioni di dollari da parte dei Paesi sviluppati, perché tutti noi sappiamo che quelle cifre sono ben lontane dall’essere sufficienti. Il fondo dovrebbe essere composto da centinaia di miliardi di dollari, non milioni. Per non parlare del genocidio in corso in Palestina, specialmente a Gaza, che ha mostrato il vero volto dei profitti legati alla militarizzazione e alla guerra da parte dell’egemonia di Paesi come gli Stati Unit e il Canada, nonché l’Unione Europea e i loro alleati. Quando chiediamo a certi Paesi i soldi per il fondo Loss and Damage è perché sono loro i responsabili dei danni che hanno causato nel Sud del mondo, e nelle zone più colpite dal cambiamento climatico, ma loro continuano a non dare abbastanza soldi. Per non parlare dei profitti derivati dalla militarizzazione, che secondo le stime erano più di 2000 milioni di dollari solo l’anno scorso. Questo è estremamente deludente, e nel testo finale della Cop28 non è stato specificato il numero di fondi, di operazioni o di roadmap, lasciandoci molto indietro. Per questo credo che questa Cop sia stata molto deludente.

Purtroppo, le voci delle persone comuni non arrivano facilmente a queste conferenze. Secondo te come potete farvi sentire?

Carly Leung: È triste e frustrante quando le nostre voci non vengono ascoltate, ma dobbiamo diffondere amore e supporto per chi ci sta vicino e per chi continua a lottare.

Raeesah Noo-Mohamed: Ritengo che uno dei problemi maggiori delle Cop siano la loro grande esclusività. Penso che non si possano avere delle negoziazioni così importanti a cui però partecipano e prendono decisioni solo i capi di Stato, perché non sono loro a vivere adesso, là fuori, le conseguenze della crisi climatica.

L’intera struttura della Cop è un problema perché è progettata per essere esclusiva. Quindi continuare a parlare della Cop e protestare è ottimo, perché non possiamo accettare questa situazione. Tante persone  dicono che è così e basta, ma io non ci credo, perché tutti i cambiamenti nella storia sono avvenuti proprio perché ci sono state persone che hanno lottato per ottenerli.

Haja al-Beltagy: Personalmente all’interno del mio lavoro ho sempre cercato di portare le voci di quelle persone che non possono partecipare a eventi come la Cop, o che non possono far parte di comunità “offline” per varie ragioni, per esempio per questioni economiche, oppure perché non possono viaggiare all’estero, lasciare le loro comunità o comunque non raggiungere luoghi del genere. Credo fermamente che tutte le organizzazioni della società civile che operano a livello globale dovrebbero esprimere le loro esigenze e ricordarsi di attuare strategie e cambiare le loro tattiche per includere anche queste persone. Con includere non intendo che debbano costringerle o convincerle a far parte di spazi a cui magari non vogliono partecipare, ma queste persone dovrebbero sentirsi bene anche all’interno delle loro comunità, quindi le organizzazioni dovrebbero accogliere le loro voci, le loro necessità e le difficoltà della vita quotidiana. Su questo argomento, vorrei anche menzionare le persone che si trovano in zone di conflitto o in terre occupate; mi riferisco ai nostri fratelli e sorelle in Palestina che stanno soffrendo a causa di un’apartheid, un’occupazione che dura da 75 anni ormai. Le persone palestinesi alla Cop di quest’anno si potevano contare sulle dita di una mano, mentre la delegazione israeliana era composta da circa mille persone, stando alle stime. Se il sistema continua a trattare loro alla stessa maniera, non credo che cambierà qualcosa. Dobbiamo fermare l’occupazione e chiedere a gran voce un cessate il fuoco, un messaggio che è stato portato sulle piazze di tutto il mondo da tantissimi attivisti. Le nostri voci non sono ascoltate: chiediamo che le comunità offline possano partecipare alla Cop. Inoltre, anche la presenza di attivisti sudanesi è stata estremamente bassa a Dubai, così come dei nostri fratelli e delle nostre sorelle dal Congo. Questi sono esempi di come comunità offline non riescano a raggiungere e trovare uno spazio alla Cop. Per non parlare di quelle comunità marginalizzate in tutto il globo che soffrono quotidianamente a causa degli effetti del riscaldamento climatico: a nessuno importa di includere le loro voci. La società civile sta lavorando, ma dobbiamo anche cambiare il sistema: se continuiamo ad agire con lo stesso sistema, come il top-down approach, non credo che possiamo cambiare gli esiti dalla Cop.

Credi che la Cop28 abbia raggiunto gli obiettivi prescritti dall’IPCC e dalla società civile?

Carly Leung: No! Richiedere contributi non è abbastanza, poiché possono essere interrotti da qualsiasi cosa. La transizione da sola non basta, abbiamo bisogno di accelerare gli sforzi verso la diminuzione delle energie da carbone unabated [ovvero quelle le cui emissioni non sono abbattute, n.d.a]. Serve un’uscita equa e giusta da tutti i combustibili fossili. Non basta eliminare il prima possibile  i sussidi inefficienti ai combustibili fossili che non tengono conto della povertà energetica e delle transizioni giuste: dobbiamo eliminare tutti questi sussidi. La definizione di tecnologie a basse emissioni non è chiara. Ci possono essere vie d’uscita così. Serve una timeline più solida, con punti raggiungibili.

Raeesah Noo-Mohamed: No. Dato che la Cop prevede che siano solo i leader dei Paesi ad avere il potere di prendere decisioni, non può mai davvero raggiungere gli obiettivi della società civile se quest’ultima non ha voce in capitolo. La crisi climatica peggiora di anno in anno, e alle Cop i leader non agiscono con l'urgenza necessaria che viene invece sentita dalle persone in tutto il mondo. Secondo le proiezioni supereremo il limite di 1.5⁰ C, e i capi di Stato non stanno prendendo decisioni che potrebbero aiutarci ad evitarlo. La loro decisione di non inserire il phase-out nel testo finale dimostra chiaramente che non hanno intenzione di eliminare i combustibili fossili e dimostra come tutto ruoti intorno ai soldi. Anche le parole usate nel GST indicano soluzioni che, anche se non riguardano i combustibili fossili, mostrano come i profitti abbiano un ruolo centrale. La cattura e lo stoccaggio della CO2 non sembra avere modo di essere usata, ad esempio. Questo non va bene neanche per la società, che vuole una giusta transizione e un vero cambiamento per minimizzare le disuguaglianze. L’industria dei fossili e il capitalismo non sono né sostenibili, né etici: i nostri obiettivi dovrebbero rispecchiare il bisogno di cambiare, e la Cop28 non è stato il luogo giusto per farli emergere.

Haja al-Beltagy: Sono venuta a questa Cop sperando che il fondo Loss and Damage venisse razionalizzato, che ci fosse una road-map più chiara, che si lavorasse tenendo a mente l’obiettivo dell’Accordo di Parigi col suo limite di 1.5°C. Per me era importante agire in quanto attivista per tutto questo. Inoltre, mi ero anche focalizzata sul phase-out dei combustibili fossili, non sulla loro riduzione. Sfortunatamente, però, l’unico esito è stata la menzione dei combustibili fossili, ma non è sufficiente: menzionare i combustibili fossili all’interno del testo finale non è sufficiente. Se non parliamo di phase-out, di una road-map chiara anche per il fondo Loss and Damage, se non creiamo un piano di azioni sul quale gli Stati possono iniziare a lavorare fino alla prossima COP, questa è solo una promessa vana. Non credo che possiamo mobilitarci e aiutare il nostro pianeta se continuiamo ad avere solo testi finali che evitano un piano d’azione vero. Sono molto delusa dall’esito, è stato un bene che i combustibili fossili siano stati menzionati, ma non è sufficiente. Non abbiamo molto tempo prima del 2030 e stiamo ancora negoziando, ci stiamo ancora mobilitando, mentre le persone là fuori stanno morendo e stanno soffrendo a causa degli effetti del cambiamento climatico. Il phase-out dei combustibili fossili non è una richiesta eccessiva: non abbiamo un secondo pianeta in cui abitare. Odio ripetermi, ma abbiamo davvero bisogno di un vero piano d’azione, non di promesse vane.

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