109 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

L’Antimafia boccia la gestione dei beni confiscati: “Miope e incomprensibile all’ombra di Montante”

Lo spettro dell’ex confindustriale Antonello Montante ha allungato la sua ombra, per un breve periodo, anche sull’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie. All’imprenditore di Serradifalco, condannato in primo grado a 14 anni per associazione a delinquere e corruzione, è dedicato un capitolo della corposa relazione, diffusa ieri, della Commissione antimafia all’Assemblea regionale siciliana presieduta da Claudio Fava. Nel documento sono citati anche casi di cui Fanpage.it si è occupato: le ville del boss Maurizio Zuccaro, il casale di Palagonia e la storia virtuosa della Geotrans.
A cura di Luisa Santangelo
109 CONDIVISIONI
Claudio Fava
Claudio Fava

Con l'ombra di Antonello Montante l'antimafia dovrà fare i conti ancora per un po'. Che l'ex confindustriale, condannato in primo grado a 14 anni per associazione a delinquere e corruzione, sarebbe stato un nome destinato a tornare sulle pagine di cronaca ancora per anni lo si sapeva sin dal giorno in cui l'inchiesta a suo carico è stata resa nota dal quotidiano La Repubblica. Adesso è la Commissione antimafia della Regione Siciliana, presieduta da Claudio Fava, a dedicargli un capitolo nella lunga relazione dedicata alla gestione dei beni confiscati alla mafia. Il documento, lungo quasi duecento pagine e diffuso ieri, esprime conclusioni durissime: "È miope e incomprensibile non aver lavorato, in questi anni, per costruire un autentico circuito della legalità, che è cosa assai diversi dai protocolli dell’era Montante – si legge – È inconcepibile che ville e casali confiscati definitivamente da lustri siano ancora nella disponibilità dei mafiosi ai quali erano stati tolti, in un imbarazzante rimpallo di responsabilità fra Agenzia, amministratori giudiziari, forze dell’ordine, enti locali e prefetture per attivare le procedure di legge al fine di sgomberare quei beni".

Tra le storie raccontate dalla commissione antimafia dell'Assemblea regionale siciliana ci sono anche quelle raccolte, in questi mesi, da Fanpage.it: l'esempio della Geotrans, le ville di famiglia del boss di Cosa nostra Maurizio Zuccaro a Gravina di Catania, il casale di Palagonia in cui qualcuno, nonostante l'avvenuta confisca, aveva continuato a raccogliere le olive. Fatti messi in fila, uno dopo l'altro, per ricordare che "ogni bene confiscato e perduto è una vittoria per la mafia", continua la commissione. L'inchiesta dell'organismo politico, durata centinaia di ore, incomincia con la legge-pilastro sulla confisca, la Rognoni-La Torre, che individua nei patrimoni dei mafiosi una delle leve per scardinarne il potere. Ma è la stessa Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, costituita nel 2010 con l'obiettivo di essere il braccio della legge, a mancare di incisività. I numeri parlano chiaro: secondo dati aggiornati al 31 dicembre 2019, in Sicilia il 50,59 per cento dei beni assegnati non viene utilizzato. E per le aziende va anche peggio: "delle 459 imprese per cui è stato portato a compimento l’iter gestorio, solo 11 non sono  state destinate alla liquidazione". Nove sono state vendute e due sono state date in affitto.

Nel 2014, quando il quadro era – se possibile – ancora di più difficile interpretazione, l'allora ministro dell'Interno è Angelino Alfano. "Fu un'idea mia", sottolineava lui stesso, nominare Antonello Montante nel direttivo dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. "Nella gestione di questa Agenzia si notava la mancanza di un elemento manageriale – raccontava Alfano due anni fa alla Commissione antimafia – Immaginai di mettere un siciliano, un antimafioso, il responsabile della legalità di Confindustria nazionale e, al tempo stesso, uno di comprovata, a quel tempo, competenza manageriale. […] Quando lo nomino all’Agenzia nazionale dei beni confiscati, eravamo all’apice". Sei mesi prima, la procura di Caltanissetta aveva avviato l'indagine che poi avrebbe portato, nel 2019, alla condanna di Montante. L'accusa formulata dai magistrati, come resa nota all'inizio del 2015 dal giornalista Attilio Bolzoni su La Repubblica, era di concorso esterno in associazione mafiosa.

I dubbi della commissione oggi coagulano in qualche domanda: "Quella nomina fu solo casualità, il mero risultato di una somma di sviste istituzionali? E per Montante, entrare nel direttivo dell’Agenzia era davvero solo un’altra medaglia da appendersi al petto, peraltro già sovraccarico di titoli, prebende ed encomi? In altri termini: c’è stato attraverso Montante il tentativo di dar la scalata all’Agenzia, alle possibilità di speculazione privata che avrebbe potuto offrire la gestione della più grande holding italiana, proprietaria di quattromila aziende e di decine di migliaia di beni immobili?".

Una ipotesi, quest'ultima, che era stato il confindustriale in persona a delineare. In un'intervista del 2012 al Sole 24 ore, Antonello Montante diceva: "Bisogna portarli a reddito (i beni confiscati, ndr) e per portarli a reddito
bisogna affidarli o venderli ai privati attraverso procedimenti veloci…". Nel 2010 Montante aveva costituito, a Caltanissetta, il Tavolo per lo sviluppo del centro Sicilia. All'articolo 4 dello Statuto tra gli scopi sociali di quell'esperimento montantiano spunta la "gestione di beni confiscati". Col senno di poi, volendolo proprio considerare necessario, la Rognoni-La Torre andava da un'altra parte. Ma la "scalata" si arresta a luglio 2015, quando Montante si dimette. Senza che il ministro che lo aveva messo lì o gli organi dell'Agenzia gli avessero chiesto di farlo.

109 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views