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La storia di Ibrahim: scampato alle torture in Libia e a un naufragio, ora studia per diventare chef

Ibrahim, ventenne nigeriano scappato dalla guerra e dalle persecuzioni dei miliziani di Boko Haram per raggiungere l’Italia, ora studia per diventare chef. A 16 anni si è imbarcato dalla Libia dopo aver visto morte e torture. E’ arrivato nel nostro paese a bordo di un barcone e dopo essere stato salvato da una nave tedesca.
A cura di Davide Falcioni
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E' riuscito a sopravvivere alla traversata del Mar Mediterraneo a bordo di un barcone e ora che è arrivato a Termoli, in Molise, il suo sogno è quello di lavorare come chef. E' la bella storia di Ibrahim, ventenne nigeriano scappato dalla guerra e dalle persecuzioni dei miliziani di Boko Haram per raggiungere l'Italia e qui cercare di ricostruirsi una vita. Il giovane è stato accolto per tre anni alla Casa di Kore, struttura dalla quale dovrà però presto andarsene per trovare una sistemazione autonoma: "Sono stato accolto e trattato come un figlio – ha dichiarato Ibrahim all’ANSA -. Ho passato dei brutti momenti, ma ora ho una nuova vita. La Casa di Kore è per me una vera famiglia. Frequento il quarto anno all’Istituto Alberghiero e punto a diventare chef".

Tra circa un mese dovrà lasciare la Casa di Kore, trovarsi un appartamento e provvedere autonomamente a tutte le spese. "Qui ho trovato tutto: affetto, sostegno, una seconda famiglia. Non desidero lasciare la scuola, rinunciare a diventare chef. Spero che si troverà una soluzione per me". Ibrahim aveva solo 16 anni quando è salito su un barcone da una costa libica, paese in cui ha trascorso due mesi prima di riuscire a trovare il passaggio verso l'Europa. "In Nigeria si vive nella paura. C’è Boko Haram. I soldati sono vicino ai confini dei paesi. Se attraversi puoi essere ucciso. E’ molto pericoloso – racconta -. Nel mio paese non c’è nulla, non c’è lavoro. Non si riesce a vivere. Quando decidi di uscire dal villaggio devi pagare per passare e hai il 50 per cento di possibilità di uscire vivo".

Ibrahim racconta la fuga dall’Africa per arrivare in Italia. "Sono partito senza soldi, senza niente. Per strada ho fatto tanti lavori. Passare i confini vuol dire nascondersi in camion tra merci e sperare di restare vivi. In Libia ho lavorato come bracciante. Lì sono molto cattivi. Picchiano con il martello perché sei diverso, non parli l’arabo. Dormivo per strada e non sempre riuscivo a mangiare. Poi sono riuscito a partire. Era una barca piccola. Avevo molta paura. A quel punto, però, non puoi tornare a casa e non puoi restare in Libia perché lì è ancora più pericoloso. Siamo salpati di notte. Sono morte diverse persone durante la traversata. E’ molto dura, troppo. C’erano molti bambini che piangevano, tanta disperazione. All’alba ci ha avvicinato una nave tedesca. Quando l’ho vista, ho detto: sono salvo".

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