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Opinioni

Intervista a Sara Manfuso vittima di violenza: “A mia figlia insegnerò a essere una guerriera”

La violenza contro le donne è tristemente democratica: colpisce a prescindere dal contesto sociale. Per questo, in un’epoca in cui si discute tanto di vaccini, bisognerebbe progettarne uno contro la violenza di genere. E in una giornata così importante, ho voluto fortemente dare la parola a un’altra Donna, Sara Manfuso.
A cura di Anna Vagli
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La violenza contro le donne è democratica: colpisce a prescindere da contesto sociale e dall'anamnesi familiare. E nell’epoca in cui viviamo, nella quale si parla tanto di vaccini, bisognerebbe progettarne uno anche per contrastare la violenza di genere. Difatti, come il Covid-19, anche quest’ultima è pandemica, globale e letale. È un virus culturale capace di infettare corpi, menti e luoghi. Oggi è il 25 novembre, giornata internazionale dedicata all’eliminazione della violenza di genere. Ma è difficile credere, e la freddezza dei numeri ce lo dimostra – 109 le donne uccise da inizio anno –  che per contrastare un crimine simile sia sufficiente una giornata.

Il problema ha radici culturali e trova fondamento nello stereotipo. Stereotipo è assimilare il colore rosa alle bambine e il colore blu ai maschi. Stereotipo è il maschio che gioca con i supereroi  e stereotipo è la femmina che gioca con le bambole. Stereotipo è quello tratteggiato dalle fiabe Disney: le principesse non aspettano altro che essere salvate da un principe azzurro col cavallo bianco.

Il delitto d’onore è stato eliminato soltanto nel 1981. Delitto che prevedeva l’assoluzione dell’uomo che dichiarasse di aver ucciso la moglie per motivi di gelosia.Ed è per le ragioni anzidette che la violenza contro le donne non deve essere arginata. Ma sradicata. E per farlo è necessario investire nell’istruzione e in programmi che aiutino i giovani a  comprendere che la violenza nasce quando si vuole prevaricare l’altro. In questa giornata così importante, a suffragio di questa riflessione, ho voluto fortemente dare la parola ad un’altra Donna, Sara Manfuso. Una donna che oltre ad essere un affermato volto televisivo e a essere Presidente dell'Associazione #IoCosì, ha provato sulla sua pelle che cosa significhi la parola violenza. Donne per le donne, anche – ma non solo – oggi.

Sara, la vediamo pubblicamente in prima linea nella lotta alla violenza di genere: da cosa nasce il suo impegno?

“Il mio impegno nasce dalla mia storia. A 17 anni sono stata vittima di violenza da parte di un uomo che la solerte attività delle forze dell’ordine, ahimè, non è riuscita a consegnare alla giustizia. Ricordo quel giorno in maniera molto nitida: rientravo da scuola e lui mi aspettava sotto casa. Così, ha deciso di rendere teatro di violenza l’androne delle scale della palazzina in cui abitavo. In pieno giorno, nell’udire le mie grida, non è accorso nessuno”.

Ha realizzato subito di essere stata vittima di un tentativo di violenza?

“Era del tutto inequivocabile, sì. Sono immediatamente andata a denunciare accompagnata e sostenuta dalla mia famiglia. Doloroso l’iter. Soprattutto quello relativo alle convocazioni in commissariato per valutare le foto segnaletiche. L’obiettivo era quello di identificare quelle che più si avvicinavano all’identikit da me tracciato. Io volevo solo dimenticare, ero invece costretta a rivivere”.

Ha mai pensato di non poter essere creduta nel suo racconto?

“Mi è successo. La rabbia che maggiormente ho provato si è manifestata quando un noto produttore, convocandomi per un programma con aria compiaciuta, mi disse: “sei stata brava a creare lo storytelling della violenza subita, questi temi vanno forte. Ti porterà bene”. Andai via. Non ho mai lavorato con lui”.

Ha provato senso di vergogna nel raccontare la sua storia? 

“Inizialmente sì, molta. Sin da ragazzina ho sempre avuto un carattere molto forte che non contemplava cedimenti, imbarazzi, vergogna. La violenza è stata una crepa nella mia fortezza. Dopo un periodo in cui la rimozione l’ha fatta da padrona, ho convertito il dolore nella determinazione alla lotta. Ed eccomi qui”.

Ha intrapreso un percorso psicologico per metabolizzare quanto accaduto?

"No, mai. Avrei dovuto, ma nessuno me lo ha mai proposto ed io all’epoca non avevo la capacità di comprendere quanto fosse essenziale. Ce l’ho fatta da sola, ma credo di portare con me ancora i segni di questo percorso da “autodidatta”. Sono molto schermata dal punto di vista affettivo con il sesso maschile e anche quando sembra che mi abbandoni all’altro, in realtà, c’è sempre una parte che sfugge. Per amore della libertà e per il peso della paura".

Ha una figlia femmina, Lucrezia. Le racconterà che cosa è successo? 

Non ora, ma lo farò. Per dirle: sii una guerriera, amore. Ma, prima ancora, per educarla a riconoscere le battaglie da combattere. Perché sì, è proprio dalla cultura dell’accettazione che bisogna ripartire.

Il fronte europeo

Il 16 settembre 2021 il Parlamento Europeo ha approvato con 427 voti a favore una risoluzione finalizzata a chiedere alla Commissione la presentazione di una legge per trasformare la violenza di genere in un crimine transnazionale.

“Il femminicidio è la forma più estrema di violenza di genere contro le donne e le ragazze” si legge nell’atto.

L’approvazione ha fatto seguito all’appello di Ursula Von der Leyen, che ha chiesto a gran voce che “La violenza di genere diventi un eurocrimine”.

La Commissione, dunque, dovrà ora decidere se incasellare la violenza di genere come una nuova sfera di criminalità ai sensi del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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