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Il sacerdote compiacente e il summit al cimitero, cosi la ‘ndrangheta spadroneggiava in Calabria

Le indagini condotte dai Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria che questa mattina hanno portato all’arresto di ben 49 persone e al sequestro di beni per un valore di oltre un milione di Euro.
A cura di Antonio Palma
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Pizzo imposto a tutte le attività del territorio, persino a piccoli pescatori e contadini, ma anche appoggi a tutti livelli, persino tra esponenti delle forze dell’ordine e sacerdoti, così la cosca di ‘ndrangheta dei Piromalli spadroneggiava nella piana di Gioia Tauro, in Calabria. Lo hanno accertato le indagini condotte dai Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria che questa mattina hanno portato all’arresto di ben 49 persone e al sequestro di beni per un valore di oltre un milione di Euro.

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L’operazione antimafia, denominata “Hybris”, arriva al termine di una lunghissima indagine condotta dal Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Gioia Tauro tra il 2020 e il 2021 e che si è avvalsa anche di intercettazioni telefoniche e ambientali. Accertamenti investigativi che hanno permesso di ricostruire le attività criminali e gli assetti funzionali della cosca Piromalli, in particolare la nuova riorganizzazione del gruppo nei mesi antecedenti alla scarcerazione del boss Giuseppe Piromalli, dopo oltre un ventennio di carcerazione.

Oltre a una delle storiche attività del gruppo relativa alle importazioni di droga dal Sudamerica, soprattutto di cocaina, le indagini dei carabinieri hanno ricostruito il pervasivo controllo del territorio da parte del gruppo criminale. Un controllo che passava attraverso un diffuso racket che non ha risparmiato contadini e pescatori. Ai primi ad esempio veniva imposto un pagamento annuale per evitare che i terreni venissero depredati dei raccolti o danneggiati, ai secondi veniva ordinato dove conferire il pescato al mercato ittico di Gioia Tauro che, secondo gli inquirenti, era in mano alle cosche che gestivano l’intero settore. A chi si rifiutava veniva incendiato il peschereccio.

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Un controllo del territorio condotto dunque in maniera pervasiva che consentiva ai mafiosi di conoscere ogni singola iniziativa economica per poi poterla taglieggiare. Una capacità che per gli investigatori è dimostrata anche dalla disponibilità di armi affidate a custodi fidati lungo tutto il territorio, evitando così massicci sequestri; dall’imposizione delle assunzioni agli imprenditori a beneficio degli appartenenti alla cosca e dalla gestione immobiliare della zona industriale prospiciente al porto di Gioia Tauro. La potenza criminale del gruppo era tale da poter organizzare persino un summit di mafia all’interno dell’area cimiteriale del centro più importante della Piana di Gioia Tuaro senza nessuna paura.

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Particolare impressione arriva dai ruoli che avrebbero avuto soggetti delle istituzioni e di un sacerdote nel favorire la cosca. Nell’ambito delle indagini, infatti, è stata ipotizzata una “rivelazione del segreto d’ufficio” in favore degli appartenenti alla cosca Piromalli da parte di un appartenente alle Forze dell’Ordine, un militare della Guardia di Finanza. Tra gli indagati e accusati di favoreggiamento anche un sacerdote che, secondo gli inquirenti, avrebbe attestato “false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità Giudiziaria” per fare ottenere benefici e misure alternative alle pene e al carcere agli appartenenti alla cosca.

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