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L’omicidio di Ermanno Lavorini, l’incredibile storia del bambino sepolto sotto la sabbia

Ermanno Lavorini fu ucciso il 31 gennaio 1969, lo stesso giorno in sparì di casa. Il suo rapimento tenne l’Italia con il fiato sospeso per due mesi, fin quando il corpo non fu trovato su una spiaggia di Viareggio. Da allora comincerà un inferno di depistaggi, menzogne e linciaggi pubblici che porteranno le indagini dalla pista della pedofilia a quella politica.
A cura di Angela Marino
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L’omicidio di Ermanno Lavorini è uno dei grandi misteri della storia d’Italia degli anni Settanta. Dodici anni, figlio di un modesto commerciante di tessuti viareggino, fu rapito ’a scopo di estorsione’ in quello che si avviava a diventare il Paese dell’Anonima sequestri, dei rapimenti lunghi anni e dei riscatti milionari. Ermanno, però, non fu restituito alla famiglia, fu trovato morto sotto un velo di sabbia il 9 marzo 1969, a due passi dalla pineta tra Torre del Lago e Marina di Vecchiano, innescando un perverso ingranaggio politico che avrebbe sconvolto l'Italia.

L'omicidio di Ermanno Lavorini

Il dodicenne scomparve il pomeriggio del 31 gennaio 1969, a pochi giorni dalla terribile strage di Piazza Fontana, che aveva dato inizio agli anni di Piombo. Da quando si erano perse le sue tracce la famiglia aveva ricevuto una sola telefonata con una richiesta di riscatto: "Ermanno non torna a cena, forse non torna più, preparate 15 milioni". Poi il silenzio. Da allora le indagini avevano seguito piste rivelatesi infondate e intanto si erano fatti largo sedicenti esperti e sensitivi, tra cui l'olandese Gerard Croiset. Era l'Italia ingenua che credeva ai maghi e alle sedute spiritiche, quella che si riuniva intorno alla televisione per il Tg delle venti e ingollava avidamente tutte le notizie.

I ‘ragazzi di Pineta' di Viareggio

Era anche l'Italia antigarantista e forcaiola, quella dei giornali che titolavano sui “mostri” e “le belve”. Fu proprio  il luogo del ritrovamento del piccolo Ermanno a indicare il mostro di turno. Il corpo del ragazzino, perfettamente vestito, fu trovato a due passi dalla pineta dove la sera si consumavano amori fugaci di un certo tipo. Si incontravano nel buio del bosco quanti non potevano vedersi alla luce del giorno, amanti giovani e meno giovani che sceglievano quella macchia di alberi a due passi dal mare per vivere segretamente rapporti omosessuali, anche a pagamento. Un mondo notturno di confine dove ragazzini giovanissimi si prostituivano e dove anche i pedofili trovavano le loro prede. In quel contesto, secondo indiscrezioni delle forze di polizia, sarebbe maturato il rapimento e l'omicidio del ragazzo. Altro che riscatto, cominciano a scrivere i giornali, il "bruto", aveva preso quel bel bambino biondo per abusare di lui e dopo aver appagato i suoi bassi istinti, lo aveva ucciso. Il mostro, speculavano inventando dettagli, è venuto certamente da quella pineta del vizio, lo ha drogato e ucciso.

La caccia al mostro

Dalle pagine de ‘Il Borghese' la voce della destra faceva arrivare il suo messaggio politico cavalcando il caso: "I ‘ragazzi della pineta' di Viareggio, esattamente come i ragazzi di vita di Pasolini, sono tutti figli del popolo. È questo dunque il ‘sano popolo lavoratore' che dovrebbe fare giustizia della società borghese?". Mentre ‘Epoca', scriveva: "Non si tratta, dunque, di perseguitare gli omosessuali, ma di impedire che il loro vizio diventi oggetto di imitazione dalle piazze, dai viali, dai caffè, dai giornali immorali, dai film indecenti, non deve più venire, ad ogni momento, lo stimolo del vizio".

Adolfo Meciani 

Sulle pagine di giornale si celebravano veri e propri processi come quello a Giuseppe Zacconi, 56 anni, figlio dell'attore viareggino Ermete, personaggio che si rivelò totalmente estraneo alla vicenda, ma che nondimeno fu costretto a subire il linciaggio della stampa al quale diede fine solo rivelando pubblicamente di soffrire d'impotenza sessuale. L'anno dopo morì d'infarto. Fu la seconda vittima del caso Lavorini. Poco più di un mese dopo il ritrovamento, una soffiata accusò Adolfo Meciani, commerciante di Viareggio, sposato e padre di famiglia, di essere l'autore del mostruoso delitto. Crollò psicologicamente, venne ricoverato in una clinica psichiatrica, subì sette elettrochoc. Si uccise impiccandosi in carcere con un lenzuolo. Innocente, era crollato sotto il peso di quell'accusa infame e sotto quello, insostenibile, della sua rivelata omosessualità. Fu un'altra vittima dello scandalo.

Chi ha ucciso Ermanno Lavorini

Ad accusare il povero Meciani erano stati il sedicenne Marco Baldisseri, Rodolfo Della Latta detto "Foffo", 19 anni, attivista del Movimento Sociale Italiano e Pietro Vangioni, 2o. Ragazzi ‘di pineta' anche loro, tranne il giovane Vangioni. Nell'aprile 1969 Baldisseri confessò: aveva ucciso Ermanno durante una lite e poi lo aveva sepolto. Dopo cambiò versione e poi la cambiò ancora e ancora, coinvolgendo Della Latta e Vangioni. Alla fine fu un volantino di Lotta Continua a cambiare la prospettiva da cui osservare quel caso: quella politica. Sia Baldisseri che Della Latta e Vangioni erano tutti attivisti del Fronte monarchico di Viareggio. I ragazzi, peraltro, sembravano godere di una speciale ‘protezione", in particolare Vangioni, già confidente delle forze dell'ordine. Chi c'era dietro il sequestro Lavorini? Perché nell'unica telefonata che i sequestratori fecero – senza peraltro dare alcuna indicazione sullo scambio – era di un adulto e non di uno dei ragazzini? Il sospetto che dietro il caso Lavorini ci fosse un Deus ex machina politico non fu cancellato nella coscienza dell'opinione pubblica neanche dalla Cassazione che nel 1976 condannò rispettivamente a 11, 8 e 9 anni di carcere, per omicidio preterintenzionale e sequestro di persona, Rodolfo della Latta, Marco Baldisseri e Pietrino Vangioni. Secondo la ricostruzione i tre avevano organizzato il sequestro, poi degenerato in omicidio, per raccogliere fondi per la loro organizzazione politica di estrema destra.

Una sentenza incredibilmente lieve in una storia piena di omissioni, menzogne depistaggi. Una vicenda esemplare dell'Italia dei rigurgiti fascisti, nella nuova Destra che preparava la svolta totalitaria e della Sinistra combattente che la mattina condannava a morte i nemici del popolo e la sera negoziava con il nemico. Un Paese in profondo conflitto con se stesso che grazie al caso Lavorini scolpì la maschera democristiana, perbenista e censoria, che avrebbe indossato per i futuri 20 anni.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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