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I pronto soccorso italiani sono allo stremo: mancano 180mila infermieri e le paghe sono da fame

Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind: “Nei Paesi OCSE c’è una media di 9,2 infermieri ogni mille abitanti, mentre in Italia quella media è di 6,2. Significa che nel nostro Paese mancano 180mila infermieri. Gravi carenza soprattutto nelle regioni del nord”.
Intervista a Andrea Bottega
Segretario Nazionale del sindacato Nursind.
A cura di Davide Falcioni
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Il mix di Covid e influenza stagionale sta mettendo in difficoltà gli ospedali italiani. A quattro anni dell’arrivo del virus SarsCoV2, infatti, i pronto soccorso sono nuovamente presi d’assalto da migliaia di pazienti: oltre mille persone sono in attesa di ricovero nel Lazio, circa 500 in Piemonte, mentre in Lombardia i ricoveri ordinari sono stati sospesi e in Campania gli accessi quotidiani sono sempre più difficili da smaltire.

Eppure la concomitanza tra covid e influenza era stata ampiamente prevista e il sospetto – anzi, ormai la certezza – è che il ricorso al pronto soccorso sopperisca alle carenze degli ambulatori territoriali, dove i tempi d’attesa sono spesso biblici a meno che non si accetti di ricorrere alle strutture private sborsando centinaia di euro per ecografie, tac ed altri esami specialistici.

Di fatto, come avvenuto nel pieno dell’emergenza sanitaria, spetta ancora una volta a lavoratori e lavoratrici sopperire alle lacune del Servizio Sanitario Nazionale, tra ferie saltate a dicembre, doppi turni e il ripetersi di quelli di guardia. Il nostro Paese è al tredicesimo posto in Europa per spesa pro capite  per la sanità,  troppo poco. E in questo quadro donne e uomini in prima linea, come gli infermieri, sono sottoposti a livelli di stress insopportabili. C'è poi un grave problema strutturale: rispetto al fabbisogno, calcolato sulla media dei Paesi Ocse, in Italia mancano almeno 180mila infermieri. A segnalarlo, intervistato da Fanpage.it, Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind.

Andrea Bottega
Andrea Bottega

Con l’aumento dei casi di Covid e di quelli di influenza si registra nelle ultime settimane un aumento degli accessi ai pronto soccorso. 

Siamo di fronte a una situazione che si verifica ciclicamente: le strutture sanitarie sono chiamate a fronteggiare una serie di infezioni respiratorie tipiche di questo periodo dell'anno. Ma la situazione è complessa anche perché il territorio italiano è "scoperto": mancano strutture intermedie nelle quali poter "dare sfogo" alle dimissioni dagli ospedali, oppure atte ad accogliere i casi meno gravi. C'è poi una grave carenza di medici di medicina generale e di pediatri e i dati in questo senso sono emblematici: secondo Agenas in Italia dal 2019 al 2021 il numero di medici di medicina generale si è ridotto di 2.278 unità mentre quello dei pediatri di libera scelta di 386 unità. Questo ci fa dire che ci sono 3,2 milioni di adulti senza medico di medicina generale e 300mila bambini senza pediatra. In questo quadro, durante le festività natalizie gli ambulatori medici chiudono per ferie, quindi chi ha un problema di salute è costretto a recarsi in ospedale. Questa è e sarà la situazione anche in futuro, almeno in attesa che si dia seguito alle progettualità del PNRR con le Case di Comunità aperte 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che possano assorbire almeno una parte dei pazienti che oggi si recano in ospedale. La mancanza di personale, e l'aumento del costo delle materie prime, ha però portato il governo a rivedere il PNRR riducendo gli ospedali di Comunità da 380 a 307, diminuendo anche il numero di posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva oltre al numero delle Case di Comunità, da 1.350 a 1.038. Insomma, il nostro Sistema Sanitario Nazionale vive una perenne carenza di uomini e donne. E in questo quadro mancano anche moltissimi infermieri.

Quello della carenza di personale è un problema strutturale. Ma quali sono le regioni più in difficoltà?

La carenza riguarda soprattutto il nord Italia, dove mancano circa 2.500 infermieri per regione. Alla carenza strutturale si affiancano altri fattori: ad esempio i casi di maternità tra le infermiere, il ricorso alla legge 104 o gli esoneri che un quarto degli infermieri devono rispettare, ad esempio per i turni notturni o il sollevamento d carichi pesanti. A ciò va aggiunto che nei Paesi OCSE c'è una media di 9,2 infermieri ogni mille abitanti, mentre in Italia quella media è di 6,2. Significa che nel nostro Paese mancano 180mila infermieri.

Lei ci ha parlato di una carenza di infermieri soprattutto nelle città del Nord Italia. Perché?

Confermo: lì c'è un serio problema legato al costo della vita insostenibile per un infermiere, che con il suo stipendio fatica ad arrivare a fine mese. Il risultato è che nelle università del Nord Italia i posti messi a bando per scienze infermieristiche non vengono neppure coperti; così il personale che va in pensione non viene sostituito dai nuovi laureati.

Non a caso qualche mese fa fece notizia la campagna di reclutamento fatta da alcuni Paesi scandinavi tra gli infermieri italiani, ai quali veniva promesso uno stipendio mensile di 3.500 euro oltre a un alloggio gratuito…

Certo. Eppure le soluzioni che offre la politica a volte sembrano surreali. Due giorni fa ho letto una dichiarazione dell'assessore Guido Bertolaso, secondo cui una soluzione potrebbe essere formare personale specializzato direttamente in Sudamerica, mentre per il Ministero della Salute gli infermieri potrebbero essere reclutati in India. Non si tratta, evidentemente, di ricette strutturali e ce lo dimostra l'esperienza del Veneto, dove già nei primi anni duemila vennero assunti infermieri sudamericani. Tutte persone che rimasero un breve periodo, per poi andarsene: d'altro canto nessuno si trasferirebbe dall'India o dal Perù per andare a lavorare in una città come Milano, dove con 1.500 euro al mese riesci a pagare solo l'affitto.

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Come giudica l'operato del Governo sulle politiche sanitarie?

C'è un problema di scelte politiche. Io ad esempio non condivido la decisione di aumentare il numero di posti disponibili all'Università per la facoltà di medicina, perché il rischio è quello di trovarsi con molti medici in più rispetto al reale fabbisogno. Questa scelta, inoltre, significherà sottrarre accessi ad altre professioni sanitarie: se uno studente può accedere a medicina lo farà, scartando scienze infermieristiche, fisioterapia o gli studi da tecnico di laboratorio. Di sicuro l'assistenza diretta che farà un infermiere al paziente non potrà mai essere sostituita da un'intelligenza artificiale, mentre sappiamo già che questo potrebbe accadere in alcuni ambiti della medicina.  C'è poi il tema dei temi.

E quale sarebbe?

Noi non possiamo costruire la sanità del futuro, ovvero quella post-pandemica, sulla base delle stesse regole del passato. Non possiamo mantenere un sistema medico-centrico, in cui tutto passa per il via libera di un dottore, persino la prescrizione dei pannoloni per l'incontinenza dei pazienti. Gli ambiti in cui gli infermieri potrebbero essere dotati di maggiore autonomia, con adeguata formazione, sono molti: ad esempio valutare una ferita dopo un intervento chirurgico, rimuovere un corpo estraneo, eccetera. D'altro canto la pandemia ci ha dimostrato che per avere una diagnosi di Covid non era necessario il medico, bastava un tampone fatto da un infermiere o da un farmacista. Insomma, fornire maggiore autonomia a tutte le professioni sanitarie potrebbe contribuire in modo significativo a ridurre i tempi d'attesa e le congestioni nei pronto soccorso e negli ambulatori.

Se arrivasse una nuova emergenza sanitaria saremmo più o meno preparati rispetto al passato?

Di sicuro abbiamo acquisito un'importante esperienza di carattere organizzativo: abbiamo imparato a preparare le nostre strutture sanitarie predisponendo percorsi diversi rispetto a quelli "tradizionali", separando i pazienti colpiti da un'infezione e non, dividendo le zone "sporche" degli ospedali da quelle "pulite". Però ribadisco: in Italia c'è una grave carenza di infermieri e l'esperienza della pandemia sembra non aver insegnato niente alle nostre autorità sanitarie. Da questo punto di vista se dovesse sopraggiungere una nuova emergenza saremmo nuovamente in grave difficoltà.

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