Gabriela Trandafir uccisa dal marito, la denuncia mai raccolta: “Il carabiniere mi ha detto di sparire”

"Maltrattamenti e minacce nei confronti miei e dei miei figli". Così scriveva Gabriela Trandafir in una lettera redatta a mano in una grafia confusa. Nel disordine delle parole messe nere su bianco, Gabriela cercava di proteggere se stessa e i suoi figli. In particolare, oltre che per sé, temeva per la figlia Renata, la giovane che il 13 ottobre 2022 fu uccisa a fucilate insieme a lei dal patrigno, Salvatore Montefusco.
Trandafir aveva provato a denunciare quell'uomo ben 11 volte, come riferisce nella lettera visionata in esclusiva da Fanpage.it e trovata in una cartellina viola all'interno di un cassetto nella caserma di Castelfranco Emilia. "Mio marito si vantava di avere conoscenza in Questura e di essere amico di tutti gli ispettori di Polizia – scriveva -. Mi diceva: ‘Non è ancora nato nessuno che può darmi contro'. Due volte i carabinieri di Castelfranco Emilia si sono rifiutati di prendere la mia denuncia".

La lettera scritta a mano da Trandafir è stata ritrovata dopo il duplice femminicidio dal nuovo comandante della Caserma di Castelfranco, Antonio Vavalle. Stando a quanto raccontato a Fanpage.it dalla sorella della vittima, Elena Trandafir, Vavalle stava verificando i reperti relativi al caso. "Con il registro in mano cercava conferma nelle cartelle della Caserma. Per puro caso ha aperto un cassetto della scrivania e ha trovato un registratore con una password e un fascicoletto con i documenti di mia sorella e la lettera scritta a mano".
La scrivania era stata per anni assegnata all'ex luogotenente oggi accusato di rifiuto o omissione di atti d'ufficio. L'uomo andrà a giudizio immediato il 20 gennaio.

"Il maresciallo – scriveva Tradafir – mi ha convinta a non sporgere denuncia nei confronti di mio marito e mi ha addirittura suggerito di fingere di essere sparita. Sono andata via dai carabinieri di Castelfranco ed ero ancora più spaventata di prima perché mi sono resa conto per l'ennesima volta che le parole di mio marito erano vere. Loro avrebbero dovuto proteggere me e i miei figli, anche in virtù del codice rosso".
Nella lettera, la donna spiega di essersi recata su consiglio della sorella dai carabinieri di Bologna. "Il maresciallo D'Elia è stato molto comprensivo e disponibile, ma ancora oggi non è successo niente – sottolineava -. Anzi, la situazione è peggiorata. Sono infatti stata costretta su suggerimento della Polizia di Conegliano a non tornare a casa perché io e mia figlia Renata siamo in pericolo: abbiamo trovato sotto la macchina un tracker GPS".

Nella missiva, Trandafir faceva riferimento anche al figlio minore, oggi maggiorenne, e spiegava di essersi rivolta agli assistenti sociali per prendere in carico il ragazzo. "Avevo spiegato la situazione, ma nonostante tutto lo hanno fatto rientrare a casa. Mio figlio è perennemente chiuso nella sua stanza, esce solo per mangiare e andare in bagno. Ha scatti di rabbia improvvisi per cui urla e rompe oggetti e nonostante questo, il caso di mio figlio è stato archiviato dopo solamente due sedute".