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Emanuele, atleta paralimpico: “Amputato a una gamba a 8 anni, ma sono sempre ottimista”

Giovane promessa della scherma paralmpica italiana, Emanuele Lambertini racconta la sua storia e la rinascita dopo l’amputazione della gamba destra, a 8 anni. “Sono nato due volte, non so se sarei come oggi con due gambe -dice-. Le difficoltà ci sono per tutti, la differenza sta nel modo in cui si affrontano”
A cura di Beppe Facchini
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“Gli imprevisti e le difficoltà esistono, quello che cambia è il modo in cui si affrontano: uno strumento importantissimo per abbattere le barriere, ad esempio, è l’ironia e soprattutto l’autoironia. Tipo: quando qualcuno mi chiede se voglio una mano, io rispondo grazie, ma di una mano non me ne faccio niente, al massimo una gamba”. Sorriso contagioso, fisico scolpito e forza di volontà dilagante, Emanuele Lambertini, oggi, riesce a riderci su. Ma fino a quando aveva otto anni la sua vita non era per niente una passeggiata. Amputato alla gamba destra da bambino, a causa di una rarissima malformazione, Ema è una delle più giovani promesse dello sport paralimpico italiano. È rientrato da qualche giorno da Amsterdam, tornandosene a casa, fra Bologna e Ferrara, con un altro ottimo risultato, e cioè la medaglia di bronzo a squadre di scherma in carrozzina all’ultima Coppa del Mondo di categoria. Due anni fa, invece, si è laureato campione e l’anno scorso vice, mentre nell’elenco delle vittorie a livello personale, adesso, c’è nel mirino una medaglia alle prossime Paralmpiadi di Tokyo 2020. Emanuele vuole non solo qualificarsi, infatti, ma vincere. È la cosa che conta più di tutte.

“La gamba che ho in meno è qualcosa in più rispetto agli altri –racconta Ema-. Io sono diverso e per questo sono prezioso. Non sto qui a dirmi che cavolo, perché proprio a me? No, invece è successo proprio a me e quindi è una fortuna. E ora devo dare il massimo con quello che ho”. Gentiluomo, speranzoso e ottimista, come si definisce lui stesso, Emanuele Lambertini è nato a Cento nel 1999. Fino a 8 anni, come detto, “non ho vissuto, ma sono sopravvissuto, che è molto diverso”, sottolinea. Fino a quel momento, infatti, la sua vita non è mai stata quella di un bambino normale. Ricoveri continui, farmaci, terapie di ogni genere, giri del mondo coi suoi genitori in cerca di una cura per quella malformazione che gli provocava cancrene e perdite di sangue. Durante un ricovero in Francia, alla fine, i medici gli propongono l’amputazione dell’arto, pur sapendo che forse non sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi problemi. Senza contare i rischi di un intervento così su un bambino. Ma Ema, invece, dopo quell’evento è riuscito a mettere un punto ed a ricominciare da campo. “Si è trattato di una vera e propria rinascita”.

Grazie ad un’amica di famiglia, a 10 anni si è avvicinato al mondo della scherma, appassionato com’era di combattimenti, e a 15 è così entrato nel giro della nazionale, diventando “giorno dopo giorno, sacrificio dopo sacrificio, meno pippa, come dico io”. A 17 anni è stato inoltre il più giovane atleta della spedizione italiana alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro e oggi, nella palestra della Zinella Scherma ASD di San Lazzaro di Savena, vicino Bologna, si sta duramente preparando a quelle in programma fra un anno in Giappone. “Ma non solo per partecipare, anche per cercare di vincere una medaglia”, conferma.

Oltre alla scherma, Ema è appassionatissimo di musica (suona il piano con ottimi risultati) e sogna, dopo la laurea in ingegneria dell’automazione, di poter dare il proprio contributo per chi è in difficoltà realizzando protesi “o nuovi strumenti per aiutare le persone disabili”.

“Se avessi due gambe non sono sicuro che sarei come sono oggi –continua Ema-. Ma sono contento e do il massimo con quello che ho. Sono una persona piena di speranza, perché se i miei genitori avessero smesso di averla quando ero in ospedale, oggi non sarei qui. Bisogna porsi un limite e cercare sempre di raggiungerlo,e per farlo bisogna essere ottimisti, avere coraggio e soprattutto speranza –conclude. Tanta speranza per poter fare sempre del proprio meglio”.

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