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Da Abercrombie i commessi che sbagliano fanno le flessioni

10 flessioni per ogni errore sul luogo di lavoro. “Squat” se a sbagliare sono le donne. Succede in uno store milanese di Abercrombie & Fitch e tutti si indignano. Ma per alcuni è solo una trovata pubblicitaria del marchio di abbigliamento made in Usa.
A cura di Biagio Chiariello
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Da Abercrombie i commessi che sbagliano fanno le flessioni

Forse qualcuno si è chiesto perché i commessi di Abercrombie & Fitch sono tutti così in forma. La risposta arriva in parte dall'articolo pubblicato sul Corriere della Sera, nel quale si evince che in un negozio di Milano,che fa capo alla nota catena di abbigliamento giovanile, da qualche mese sono entrate in vigore nuove, singolari disposizioni per chi sbaglia sul posto di lavoro. Non servi bene i clienti che arrivano? Seiin ritardo per il turno o, ancora, ti prendi una pausa più lunga del normale? Giù a terra e 10 flessioni. Quella che ha tutta l'aria di essere una punizione da caserma è messa in atto nello store milanese di A & F. Ma solo per gli uomini. Per le ragazze, invece, meglio lo squat (piegamenti sulle gambe) per tenere in forma il lato b. Le regole sono state messe nero su bianco dal responsabile del settore Loss and prevention di Milano (colui che ha la funzione di evitare il taccheggio, in pratica), la cui mail con le disposizioni è finita non si sa come alla redazione del Corriere della Sera. «Da oggi ogni volta che faremo un errore , dovremo eseguire dieci flessioni. Squat per le donne. Questo ci porterà un grande risultato: impareremo dai nostri errori» è quanto si legge nella mail del responsabile della catena di abbigliamento made in Usa.

L'articolo a firma di Rita Querzè ha fatto subito gridare allo scandalo. In particolare nel pezzo sono raccolte anche alcune testimonianze di commessi che avrebbero vissuto sulla propria pelle entrambe le esperienze punitive. Sia al maschile, che al femminile. «Il mio contratto a termine è appena scaduto — racconta Luca C., 26 anni —. Ma sto cercando un nuovo lavoro, e non credo che rendere pubblica questa storia mi aiuterebbe. Comunque io le flessioni le ho fatte, eccome. Motivi futili, non mi ricordo la materia del contendere. Ma lì funziona in questo modo. Prendere o lasciare».

Per alcuni il caso dello store milanese Abercrombie & Fitch denunciato dal Corriere è niente più che una trovata pubblicitaria per far parlare del marchio statunitense. Una strategia per rendere ancora più importante nel nostro Paese un brand già fortissimo. La società ha chiuso l'ultimo quarter, al 28 gennaio 2012, con un utile netto di 19,6 mld di dollari. Ma la tesi della stravagante strategia di marketing, veicolata dai media, perde colpi se rapportata ai dati diffusi dai sindacati che, più che sulle "punizioni", puntano il dito sulle cifre relative ai dipendenti di Abercrombie: a fronte di 200 persone che "ufficialmente" vi lavorano, i dipendenti sarebbero 1.110. Una manovra resa possibile dai cosiddetti contratti ‘a zero ore', ovvero il lavoro a chiamata che impone ai commessi di essere sempre reperibili, come spiegato da Graziella Carneri, segretario generale Filcams Cgil di Milano.

«Ai commessi viene imposto un rigorosissimo codice di look. Con qualche estremismo, come le unghie delle ragazze che non devono essere più lunghe di due millimetri, e rigorosamente senza smalto» aggiunge la sindacalista. «La nostra impressione – conclude la Carnieri – è che la dignità delle persone in alcuni casi sia stata messa in discussione». Ma la verità è gli aspiranti commessi di Abercrombie fanno letteralmente la fila per lavorare nei negozi del marchio più trendy del momento. E in un momento in cui il diploma di laurea serve davvero poco a trovare un lavoro, non c'è proprio da meravigliarsi.

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