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Crollo ponte Morandi a Genova

Crollo ponte Morandi, chiusa l’inchiesta: “In 51 anni nessun intervento sulla pila 9 crollata”

La Procura di Genova ha finalmente chiuso le indagini sul crollo del ponte Morandi inviando le notifiche agli indagati interessati. In queste ore infatti la guardia di finanza sta notificando gli avvisi di conclusione indagini ai 69 iscritti nel registro degli indagati: si tratta di manager, tecnici ma anche dirigenti pubblici e privati, ai quali si aggiungono le due società coinvolte, Aspi e Spea, entrambe del gruppo Benetton.
A cura di Antonio Palma
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Tutti sapevano del deterioramento e dei pericoli di crollo del ponte Morandi di Genova ma a causa di una serie di errori e omissioni a tutti i livelli nessuno è intervenuto in tempo fino alla tragedia del 14 agosto 2018 che ha causato la morte di 43 persone. A questa conclusione è giunta la Procura di Genova che oggi ha finalmente chiuso le indagini sul crollo del ponte Morandi inviando le notifiche agli indagati interessati. In queste ore infatti la guardia di finanza sta notificando gli avvisi di conclusione indagini ai 69 iscritti nel registro degli indagati: si tratta di manager, tecnici ma anche dirigenti pubblici e privati, ai quali si aggiungono le due società coinvolte, Aspi e Spea, entrambe del gruppo Benetton.

Quella sul crollo del Ponte Morandi di Genova è stata una inchiesta lunga e complicatissima durata quasi tre anni nel corso dei quali sono stati eseguiti due incidenti probatori, uno sullo stato di salute del viadotto e un secondo sulle cause vere e proprie del crollo. Una inchiesta che, cercando di fare luce sull’accaduto e poi di trovare i responsabili, ha dato vita anche ad altri filoni di indagine che hanno riguardato in particolare i meccanismi delle manutenzioni stradali su viadotti, ponti e gallerie che, secondo l'accusa, erano improntati solo a garantire minori costi e maggiori guadagni. Tra le altre indagini scaturite da quella principale ad esempio i falsi report sullo stato di salute di altri viadotti, sulle barriere fonoassorbenti pericolose, fino alle gallerie a rischio.

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Al centro dell’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi condotta dai pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno, insieme all'aggiunto Paolo D'Ovidio, ci sono l'ex amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, finito anche ai domiciliari poi tramutati in interdittiva per un anno, l'ex numero due Paolo Berti e l'ex numero tre del gruppo Michele Donferri Mitelli. Coinvolti però anche molti vertici e tecnici delle aziende responsabili dei controlli ex e attuali dirigenti e tecnici del ministero delle Infrastrutture e del provveditorato ai lavori pubblici che non avrebbero vigilato.

A loro carico, nelle duemila pagine dell’inchiesta, si ipotizzano svariati reati anche gravi che vanno dal disastro all’omicidio colposo, dall’attentato alla sicurezza dei trasporti alla rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro all’omicidio stradale La richiesta di rinvio a giudizio dovrebbe arrivare entro luglio. “C’è stata un’incosciente dilazione dei tempi rispetto alle decisioni da assumere ai fini della sicurezza. E ciò nonostante si fosse a conoscenza della gravità e della contemporanea evoluzione degli stati di ammaloramento del viadotto” si legge tra le perizie ordinate dalla Procura. Per gli inquirenti, inoltre, aa di una “Confusione e accavallamento di ruoli nella catena di responsabilità dei vari soggetti coinvolti, ovvero Aspi, Spea, Autorità preposte alla vigilanza e al controllo, consulenti e tecnici esterni, non è stata presa alcuna decisione operativa in merito alla sicurezza strutturale” del Ponte Morandi.

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“Nonostante numerosi segni premonitori, nessuno ha preso decisioni per la messa in sicurezza degli stralli, le parti più critiche del viadotto… Per 50 anni i cavi della pila collassata non sono stati oggetto di alcun sostanziale intervento di manutenzione” scrivono i pm genovesi secondo cui “C’era un diffuso stato di corrosione delle armature. Il grave ammaloramento delle parti più critiche è la più probabile causa di innesco del crollo. Il primo elemento a cadere è lo strallo della pila 9, tra il cedimento iniziale e la caduta a terra dell’ultimo elemento intercorrono 14 secondi”.

In 51 anni, dall'inaugurazione nel 1967 al crollo, non è "mai stato eseguito il benché minimo intervento manutentivo di rinforzo sugli stralli della pila 9" scrivono i pm. Inoltre, nei 36 anni e 8 mesi intercorsi tra il 1982 e il crollo, gli interventi di natura strutturale eseguiti sull'intero viadotto Polcevera avevano avuto un costo complessivo di 24.578.604 euro": il 98,01% stati spesi dal concessionario pubblico e l'1,99% dal concessionario privato. "La spesa media annua del concessionario pubblico era stata di 1.338.359 euro (3.665 al giorno), quella del concessionario privato di 26.149 euro (71 al giorno). Il calo del 98,05% della spesa nelle manutenzioni con la concessionaria privata, è una "situazione non giustificabile per il concessionario privato, con l'insufficienza delle risorse finanziarie necessarie, dal momento che aveva chiuso tutti i bilanci dal 1999 al 2005 in forte attivo (utili compresi tra 220 e 528 milioni di euro circa), e che, tra il 2006 e il 2017, l'ammontare degli utili conseguiti da Aspi è variato tra un minimo di 586 e un massimo di 969 milioni di euro circa, utili distribuiti agli azionisti in una percentuale media attorno all'80%, e sino al 100%"

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