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Ci sono casi di Coronavirus anche all’ospedale di Lodi: “Nessuna istruzione dai vertici”

Parlano fonti interne all’Ospedale Maggiore di Lodi, a pochi chilometri dal primo focolaio di Coronavirus in Italia: “Ci sono pazienti infetti anche qui, e non tutti provengono dai comuni isolati”. Il caso del paziente infetto ora ricoverato a Como: “È stato qui a Lodi diverse volte e ora ci sono 8 infermieri in quarantena”. L’appello ai vertici sanitari: “Nessuno ci ha mai contattato per dirci come gestire l’emergenza”.
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“Sì, ci sono pazienti affetti da coronavirus ricoverati a Lodi. E ci sono anche pazienti che non provengono dall’epicentro dei dieci comuni del basso lodigiano isolati”. A parlare è una delle fonti che lavorano all’Ospedale Maggiore di Lodi che, sotto preghiera di anonimato, hanno deciso di parlare con Fanpage.it di quel che sta succedendo nel principale ospedale della provincia epicentro del primo focolaio italiano di Coronavirus. “C’è qualcuno in terapia intensiva, per supporto alle attività respiratorie. Tutto il resto è fermo in pronto soccorso. Da venerdì, noi che lavoriamo nei reparti, abbiamo interrotto i contatti diretti col Pronto Soccorso”.

Ed è il pronto soccorso, in effetti, la chiave di tutto, il luogo dove tutto ha inizio. “Sa qual è il problema principale di Lodi? Dopo il primo caso al pronto soccorso di Codogno non c’è stato più accesso. Così sono venuti tutti qua da noi, dove già c’era già altra gente di Lodi”, racconta un’altra fonte anonima.  Già, perché tra Lodi e la “zona rossa” ci sono circa 20 chilometri di distanza, ma l’interscambio è continuo, soprattutto in ambito sanitario: “Molti medici lavorano sia all’ospedale di Codogno sia a quello di Lodi, molti pazienti iniziano il loro percorso diagnostico a Codogno e poi arrivano a Lodi – racconta un altra fonte, che chiede di rimanere anonima -. Il paziente che ora è ricoverato a Como ha viaggiato con altri pazienti ed è stato a Lodi il martedì precedente, il sabato precedente, il martedì precedente”.

Il percorso di un contagiato

È proprio la storia del paziente ora ricoverato a Como, uno dei primi casi di positività al Coronavirus in Lombardia, a raccontare al meglio l’enorme difficoltà di contenimento dell’infezione. Raccontano gli operatori sanitari dell’Ospedale Maggiore che questo paziente aveva la febbre già da qualche giorno e quindi era già stato dal medico curante (primo potenziale infetto, a sua volta potenziale diffusore del virus). Che giovedì 20 febbraio, alla sera, era stato al pronto soccorso di Codogno, dove la radiografia aveva rilevato un addensamento polmonare (altri potenziali infetti). Che in quel caso, la prassi prevede il ricovero a Lodi e che quel paziente è arrivato al Maggiore con una mascherina chirurgica che dii prassi che si mette ai pazienti immuno-depressi, del tutto inutile a contenere la diffusione di un virus. Che è stato visitato dal medio di guardia (altro potenziale infetto). Che diversi infermieri hanno avuto contatti con lui (altri potenziali infetti).

Solo il venerdì mattina, quando è stata data notizia del primo caso di Coronavirus, il paziente ha comunicato che conosceva il primo contagiato, che lo vedeva sempre al bar che frequenta pure lui. A quel punto, solo a quel punto, è partito il protocollo legato al Coronavirus. Al paziente è stato immediatamente fatto il tampone, che ha effettivamente verificato la presenza di un’infezione in atto, “e da quel momento abbiamo avuto contatti con paziente con tutte le precauzioni. Fino al venerdì mattina tutto questo è successo senza alcun tipo di presidio. Lo tratti coi guanti e la divisa ma non con la mascherina”, spiega un altro operatore sanitario. Il trasferimento a Como avviene nella mezzanotte di venerdì: “Adesso c’è un reparto in cui due terzi degli infermieri sono in quarantena, più altri 2 che avevano avuto contatti con lui fino a giovedì”.

“Nessun protocollo, solo buonsenso”

Quel che è certo, nell'incertezza più totale, è che la sanità lombarda – ma forse sarebbe meglio dire italiana – si è fatta sorprendere dall’emergenza Coronavirus senza protocolli precisi e senza misure studiate ad hoc. E che il personale sanitario, che chiede maggiori supporto, per ora, sta sopperendo a questa mancanza con buonsenso e prudenza massima: “Noi come operatori sanitari dell’ospedale di Lodi non siamo stati convocati da nessun vertice per capire come gestire la situazione e abbiamo agito di buonsenso – ci spiega una delle nostre fonti. – Abbiamo mandato a casa tutti i pazienti che potevano essere dimessi per allontanarli dal potenziale focolaio. Siamo tutti in una bolla. Ognuno ha cercato di comportarsi con le massime precauzioni possibili”.  Evidentemente, non è stato sufficiente.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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