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Chiara Appendino: “5 anni da osservata speciale, in Italia poche donne sono libere di fare politica”

La sindaca uscente spiega come Torino abbia raggiunto l’obiettivo dell’Eurovision 2022 e ripercorre, in un’intervista a Fanpage.it, le sensazioni di questi ultimi giorni alla guida della città: “Sono stata fortunata, con l’attuale welfare quante donne sarebbero concretamente in grado di scegliere la politica?”. Poi un bilancio complessivo del suo mandato: “È mancata una struttura locale, il Movimento deve evolversi in questa direzione”.
A cura di Andrea Parrella
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Eventi conquistati da sindaca, di cui godrà da semplice cittadina. L'esperienza da capo dell'amministrazione comunale di Chiara Appendino si chiude in maniera insolita, con il coup de théâtre di Torino che si aggiudica l'Eurovision Song Contest 2022, abbinato all'imminente inizio delle Atp Finals di tennis, in città per i prossimi cinque anni. Appuntamenti internazionali che promettono importanti ricadute economiche (140 milioni per Eurovision, 500 milioni per le Finals le stie del comune) con gli occhi di tutta Europa – e non solo – puntati sul capoluogo piemontese. Il tutto mentre Torino si appresta a scegliere il nuovo sindaco al ballottaggio. Chiara Appendino, che un anno fa annunciava di non volersi ricandidare, racconta a Fanpage.it le sensazioni di queste ore e degli ultimi giorni a Palazzo Civico.

Arriva l'Eurovision a Torino. Per molti si trattava di un'assegnazione già scritta. Anche per lei era scontata?

Assolutamente no. Come città ci eravamo già interessati a Eurovision nel 2017 quando con la partecipazione di Gabbani c'era un'aspettativa di vittoria alta. Avevamo iniziato a studiare il dossier per la candidatura e quindi con la vittoria dei Maneskin siamo ripartiti con un piccolo vantaggio per il lavoro già fatto, ma non abbiamo mai avuto la sensazione di poter vincere sin dall'inizio. L'attesa è stata lunga, visto che la comunicazione ufficiale doveva arrivare ad agosto.

Crede che sul ritardo dell'annuncio abbiano inciso le elezioni?

Non la legherei alle questioni elettorali, ma penso che in fin dei conti sia stato opportuno annunciare la città vincitrice dopo il primo turno, per evitare strumentalizzazioni.

Dopo l'annuncio tutti stanno provando a mettere il cappello su Eurovision. Mi dice quale è stato concretamente il ruolo dell'amministrazione nell'assegnazione di questo evento?

Il dossier è iniziato a luglio e bisognava consegnare entro agosto. C'è stata una prima fase, tutta interna all'amministrazione, di dialogo con i soggetti coinvolti, penso al Pala Alpitour e tutti gli aspetti legati all'accoglienza. Questa fase ha portato alla realizzazione di un video di presentazione. Poi c'è stata la seconda parte, quando è iniziato il dialogo competitivo, che ha visto il coinvolgimento di tanti attori del territorio che ci hanno accompagnato nel percorso. Non è una candidatura dell'amministrazione, ma della città tutta, e della Regione. Solo così è diventata sempre più forte. Al di là del volerci mettere il cappello, mi auguro che il prossimo sindaco sentirà suo questo evento. Solo così si potrà fare la differenza.

Eurovision 2022 fa il paio con le Atp Finals di tennis a novembre. Non le rode un po' lasciare alla vigilia di due eventi così grossi?

Per niente, sono felice di aver dato tutte le energie fino all'ultimo giorno per portare a Torino questa manifestazione. In realtà io sono convinta che ottenere le Atp Finals abbia favorito la vittoria di Torino per l'Eurovision, sono eventi concatenati. Se penso che dopo l'annuncio delle Finals sono arrivati in città investimenti alberghieri e lo scalo Ryanair che prima non c'era, noto tutto un indotto che si sta muovendo come effetto a catena. È un'eredità che lascio con orgoglio e che vivrò da cittadina come è giusto che sia.

Questi due eventi in un campagna elettorale le avrebbero fatto molto comodo. Si pente mai della decisione di un anno fa di non ricandidarsi?

È una scelta dell'ottobre 2020, giunta per ragioni note e legate a questioni giudiziarie (condanna a 6 mesi nel processo Ream, ndr). Purtroppo i tempi della politica non sempre coincidono con quelli della giustizia e quindi era necessario. Ciò che non è mai cambiato, nonostante la decisione di non ricandidarmi, è stato l'impegno per la città. Quando la commissione EBU (Unione europea di radiodiffusione, ndr) ha deciso di venire a Torino in agosto, è accaduto durante i miei unici giorni di vacanza. Non ci ho pensato due volte a fare sei ore d'auto da incinta per esserci, era giusto che il sindaco fosse presente in quell'occasione.

Le amministrative recenti restituiscono un quadro allarmante della disparità uomo-donna in politica. Che spiegazione si dà?

Dovremmo iniziare a chiederci, innanzitutto, perché ci siano poche donne in ruoli apicali, nonostante non ci sia disparità a livello anagrafico. Personalmente io sono fortunata, ho potuto scegliere di fare politica, perché ho un marito che mi sostiene, l'aiuto dei genitori con la bambina. È una serie di condizioni su cui non tutte le donne possono contare. La domanda è: con l'attuale sistema di welfare quante donne sarebbero concretamente in grado di scegliere la politica come ho fatto io? Secondo me ancora poche.

Crede che essere sindaca sia più difficile di essere sindaco?

Io posso dire che in questi cinque anni mi sono sentita un'osservata speciale, per motivazioni che sono coniugate tra loro. Nel 2016 eravamo una forza politica ancora nuova, c'era scetticismo verso il Movimento; inoltre ai tavoli sono sempre stata la più giovane e sono stata, molto spesso, l'unica donna. Questo mix ha certamente inciso. Viviamo ancora secondo una cultura che vede molto impegno familiare sulle spalle delle donne e spero che il PNRR, con tutte le risorse, possa contribuire a cambiare le cose. Siamo spesso schiacciate tra la necessità di stare vicino ai propri bimbi e genitori anziani. Che questo scarto culturale esista ancora lo si percepisce dalle piccole cose.

Mi fa un esempio?

Prima del Covid capitava spesso che bambini e bambine venissero a trovarci a Palazzo Civico. Li sentivo dal mio ufficio, molto spesso mi affacciavo per salutare e li ho sentiti più volte chiedersi "ok, ma dov'è il sindaco uomo?". La presenza di sindache serve a far capire, nell'immaginario collettivo, che si può fare quella cosa se sei donna.

In questo senso lei e Virginia Raggi avete avuto un ruolo simbolico e 5 anni fa siete state emblema di un Movimento 5 Stelle che metteva radici sul territorio. L'enorme aspettativa nei vostri confronti vi ha sospinte o penalizzate?

Io credo sia assolutamente normale che nel momento in cui una forza politica va al governo, locale o nazionale che sia, debba fare i conti con un'enorme aspettativa. Penso sia altrettanto naturale che a un certo punto questa spinta tenda a scemare nell'ottica di un progetto da riformare. Detto ciò, è evidente che – anche alla luce dell'analisi dei dati – il Movimento 5 Stelle, a livello locale, non è stato in grado di riportare a votare gli elettori che aveva convinto nel 2016. Quello della partecipazione è un tema fondamentale, strettamente legato a quello dell'identità della forza politica, e su entrambi dobbiamo interrogarci. Personalmente sono convinta che quanto sta facendo il presidente Conte, nell'ottica di un radicamento sul territorio, sia di fondamentale importanza per dare vita a una nuova identità del Movimento in cui ci si possa tornare a riconoscere.

Il fatto che per ragioni diverse né lei né Raggi sarete più sindache significa che qualcosa è andato storto?

Parlo per me e dico che siamo tutti perfettibili, in questi cinque anni sono tornata a casa ogni sera chiedendomi se potessi fare meglio. Se parlo della mia forza politica, invece, devo dire che in questi cinque anni ho percepito l'assenza di una struttura locale. Il sindaco era il segretario di partito allo stesso tempo, cosa che non va bene.

Essere sindaca e contemporaneamente un volto nazionale le è pesato particolarmente?

Non è stato un peso, ripeto che è stato fisiologico rispetto al momento che il Movimento stava vivendo. Ma se una forza politica non ha una struttura che accompagna l'attività, il radicamento sul territorio non può essere messo in capo a un sindaco, che deve fare il sindaco e lavorare per far funzionare la macchina amministrativa. Credo sia questa l'evoluzione che il Movimento deve perseguire.

Perché ha deciso di non dare indicazioni di voto ai ballottaggi?

Ho massimo rispetto per gli elettori torinesi e credo che ognuno debba informarsi e scegliere il candidato che sente più vicino. Noi ci siamo presentati con una nostra candidata, Valentina Sganga, e un nostro progetto in alternativa. Starà ai candidati sindaci al ballottaggio essere coraggiosi e provare ad alzare l'asticella sui temi su cui ci siamo confrontati.

Non teme che non dire per chi voterà la porterà a depauperare il suo bacino elettorale?

Non penso che un sindaco sia detentore di un pacchetto di voti da far pesare, la ritengo una logica da vecchia politica non rispettosa dei cittadini.

La sua esperienza da prima cittadina sta per finire. Ha già deciso cosa farà?

Ho un pargolo che deve nascere fra un paio di settimane e sarò impegnata su quello. Seguirò in parte le Finals a novembre e poi credo che mi dedicherò per un po' alla mia famiglia.

Mette un po' da parte la politica, dunque.

Si può fare politica in tanti, non serve per forza un ruolo istituzionale. Sicuramente mi sento di appartenere alla comunità dei 5 Stelle e darò il mio contributo.

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