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C’è un altro giudice a Catania: bocciati di nuovo i decreti del governo sui migranti

Un nuovo provvedimento del tribunale di Catania rimette in libertà un migrante trattenuto nel Ragusano. Stavolta, la firma non è quella di Iolanda Apostolico.
A cura di Luisa Santangelo
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Sempre la sezione Immigrazione del tribunale di Catania. Ancora un trattenimento di un migrante tunisino non convalidato. La firma sul nuovo provvedimento che reputa illegittimi il decreto Cutro e il decreto Piantedosi sulle persone che vengono da "Paesi sicuri", però, non è più della giudice Iolanda Apostolico: stavolta si tratta di Rosario Annibale Cupri, il secondo magistrato etneo a rimettere in libertà un cittadino straniero che era stato portato nel centro per i trattenimenti di Pozzallo, in provincia di Ragusa.

Ventinove anni, originario di Monastir, arrivato a Lampedusa con un barcone il 2 ottobre 2023: una storia del tutto simile a quella degli altri suoi connazionali finiti, loro malgrado, al centro delle cronache delle ultime settimane per essere stati i primi per cui sono state disapplicate le norme del governo di Giorgia Meloni sull'immigrazione. In contrasto sia con la normativa europea, sia con la Costituzione italiana, secondo i giudici chiamati a valutarle.

Le motivazioni del giudice

Nella sentenza del giudice Cupri, come in quella di Apostolico, non c'è spazio per i dubbi. "Il trattenimento di un richiedente protezione internazionale – c'è scritto – costituisce una misura coercitiva che priva tale richiedente della sua libertà di circolazione e lo isola dal resto della popolazione, imponendogli di soggiornare in modo permanente in un perimetro circoscritto e ristretto”. Si tratta, in altri termini, di una detenzione che non è giustificata dall'avere commesso qualche reato, cioè dalle "condizioni giustificative previste dalla legge".

Uno solo dei punti stigmatizzati dal giudice di Catania. C'è poi la questione dei cinquemila euro da pagare nel caso in cui non si voglia essere trattenuti: "Come già affermato da precedenti decisioni di questo Tribunale in procedimenti di convalida di trattenimenti riguardanti cittadini tunisini e le cui motivazioni sono condivise da questo giudicante", si legge con palese riferimento al primo provvedimento catanese, la "garanzia finanziaria" richiesta non è trattata come un'opzione, bensì come un "requisito amministrativo imposto richiedente per il solo fatto che chiede protezione internazionale".

Pozzallo non è una frontiera

Foto Unicef
Foto Unicef

A completare il quadro c'è poi l'ultima delle questioni già sollevate da Apostolico e confermate nella nuova sentenza: l'applicazione della "procedura di frontiera", una procedura emergenziale prevista dal diritto dell'Unione Europea, anche a Pozzallo. Il questore di Ragusa, nel chiedere il trattenimento, ha giustificato il provvedimento spiegando che "l'elevato numero di richieste di protezione internazionale rende difficoltosa la trattazione della domanda del richiedente nel luogo di arrivo". Citando, almeno apparentemente, la direttiva UE che stabilisce in casi eccezionali che sia possibile "accogliere i cittadini di Paesi terzi o gli apolidi anche nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito".

La citazione, però, è imprecisa, sottolinea il giudice. Perché la norma europea ammette le condizioni emergenziali della procedura di frontiera solo nell'impossibilità – e non nella difficoltà – di valutare le domande nel luogo di arrivo. Ma, ancora una volta, il cittadino tunisino aveva richiesto asilo già a Lampedusa. E l'isola delle Pelagie non è da considerarsi un luogo dove è impossibile valutare richieste di protezione internazionale. Per tutti questi motivi, e perché neanche in questo caso è stato valutato "se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”, il trattenimento del 29enne non è stato convalidato ed è stata disposta la sua immediata reimmissione in libertà.

Il caso mediatico e istituzionale

Il 29 settembre, quando a prendere la medesima decisione con le medesime motivazioni è stata la giudice Iolanda Apostolico, è nato caso mediatico e istituzionale probabilmente senza precedenti. Mentre il ministero dell'Interno ha annunciato l'intenzione di presentare ricorso contro la decisione etnea, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sostenuto che "un pezzo di Italia fa tutto il possibile per favorire l'immigrazione illegale". Dopo un primo video (e poi un secondo) postato su X dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, il piano del dibattito si è spostato dall'autonomia della magistratura alla presunta parzialità (verso sinistra) di quella specifica magistrata. La nuova sentenza, però, la firma un altro giudice.

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