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Bambini strappati: “Volevano far adottare mia figlia, non ce l’hanno fatta”

Cristiana ha lottato per 9 anni per impedire che sua figlia fosse data in affidamento a una casa famiglia e adottata. Una storia che le ha lasciato sulla pelle numerose cicatrici e  la consapevolezza che chiunque, in questo Paese, può perdere i propri figli. “L’errore culturale più comune – spiega a Fanpage.it – è pensare: ‘è accaduto a te perché sei un cattivo genitore, a me non può succedere’. È sbagliato, capita a tutti”. La motivazione? È tutta economica”.
A cura di Angela Marino
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"Ho salvato mia figlia due volte: la prima dalle mani del padre, la seconda da quelle di soggetti con interessi molto dubbi che la volevano in casa famiglia o addirittura adottabile". Dopo 9 anni di calvario, Cristiana, commercialista e mamma, può finalmente raccontare come, rappresentandosi da sola, è riuscita a impedire che sua figlia le fosse portata via. "Ricordo questi nove anni trascorsi in tribunale a cercare di impedire che la facessero adottare – racconta a Fanpage.it (VIDEO) – Non ce l'hanno fatta, non mi hanno tolto la responsabilità genitoriale".

Lui minacciava di tagliarmi la gola davanti alla bimba

Dopo aver denunciato il padre di sua figlia per maltrattamenti, lesioni, stalking e violenza assistita, quattro capi di imputazione di cui tre riguardavano la bambina, Cristiana ha chiesto l'affido esclusivo della piccola. "Ha minacciato di tagliarmi la gola davanti alla bambina. Non volevo assolutamente negargli sua figlia, volevo solo che qualcuno regolamentasse gli incontri per la sua sicurezza" – spiega – "ma il mio ex e, in seguito, anche il servizio sociale, hanno usato sostenevano che stessi usando nostra figlia contro di lui. Le cose, però, stavano diversamente". "Il mio ex" – racconta – "è straniero e durante gli incontri protetti spesso diceva alla bambina che l'avrebbe portata via da me, ma quando ho manifestato all'assistente sociale la paura che potesse portarla nel suo paese di origine, mi ha riso in faccia. Non c'è mai stato alcun provvedimento di tutela alle frontiere".

"Come ci ho salvate? Mi sono rappresentata da sola"

"Quando il mio ex ha fatto appello ho avuto finalmente la possibilità di parlare con un giudice con il contraddittorio. E il giudice, un ottimo giudice tutelare, ha capito e ha disposto gli incontri protetti. Ci ha salvato la vita". "Tali incontri avvenivano attraverso una Cooperativa designata dal Servizio sociale, che nelle famiglia fa un po' la parte dell'occhio del giudice. Dunque, alla cooperativa spettava di relazionare le condizioni di vita della bambina in casa mia, ma quando lo hanno fatto hanno rappresentato una realtà completamente distorta, prefigurando addirittura un pericolo". È stato allora che Cristiana ha preso in mano la situazione. "Noi genitori nel procedimento presso il Tribunale Minorile non possiamo accedere al fascicolo, pero possiamo depositare direttamente. Così ho scritto di mio pugno una memoria difensiva destinata al giudice che, dopo averla letta, ha compreso che non c'era nessun pregiudizio e nessun pericolo per la bambina e l'ha affidata a me".

Le cooperative e i finanziamenti esentasse

"L'errore culturale più comune "- precisa – "è pensare: ‘è accaduto a te perché sei un cattivo genitore, a me non può succedere'. È sbagliato, capita a tutti".  "Dietro gli affidi dei bambini alle case famiglia – continua Cristiana – c'è una motivazione economica molto forte – continua – Quando un minore viene allontanato dai genitori e collocato presso una casa famiglia inizia un passaggio di soldi pubblici dal Comune, o dalla Regione, verso il soggetto che amministra la casa famiglia. Si tratta di soggetti che godono di privilegi di natura fiscale e percepiscono dei contributi che non vengono tassati”. “Quando la Corte d’ Appello dispose l’affido della mia bambina al servizio sociale e non a me pur non avendo io alcuna carenza genitoriale, arrivai alla conclusione che doveva esserci una motivazione molto forte. L'ho trovata".

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