Assolta perché incapace di intendere: uccise figlia di 6 anni gettandola dal nono piano a Ravenna

È stata assolta perché riconosciuta incapace di intendere e volere: così si è chiuso il procedimento a carico della donna che, l’8 gennaio 2024, si era lanciata dal nono piano del suo condominio a Ravenna stringendo tra le braccia la figlia di sei anni e portando con sé anche il cane di famiglia. La bambina e l’animale sono morti sul colpo, mentre lei si è salvata, probabilmente attutendo l’impatto grazie alla presenza di alcune impalcature che in quel periodo cingevano il palazzo.
La decisione della Corte d’Assise di Ravenna ha accolto quanto indicato dalla perizia psichiatrica, che ha accertato l’incapacità della donna di intendere e volere al momento dei fatti. La Procura e la difesa avevano entrambe chiesto l’assoluzione per non imputabilità, ritenendo che il gesto fosse frutto di uno stato psichico gravemente compromesso. Ma i giudici, pur dichiarandola non punibile, hanno stabilito che rappresenta un pericolo per sé stessa e per gli altri, disponendo così per lei la misura della libertà vigilata.
La donna dovrà restare per almeno un anno all’interno della struttura sanitaria protetta dove è attualmente ricoverata, senza possibilità di uscirne se non accompagnata da personale autorizzato e con l’obbligo di seguire regolarmente le terapie previste. Una misura che mira a tutelare sia la sua salute mentale, sia la sicurezza dell’ambiente che la circonda.
Quel tragico giorno di gennaio, il gesto aveva scioccato l’intera comunità. La donna si era lanciata nel vuoto con la figlia in braccio e il cane legato alla vita, precipitando da un’altezza di circa 28 metri. Lei era stata l’unica a sopravvivere, portando però con sé il peso insopportabile di un atto che ha stravolto ogni equilibrio. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, soffriva da tempo di una grave patologia psichiatrica ed era seguita dal centro di salute mentale, ma aveva smesso da qualche tempo di assumere gli psicofarmaci prescritti.
Le indagini successive hanno confermato il quadro clinico già segnalato dai servizi sanitari: l’instabilità, l’isolamento, i segnali di disagio sempre più evidenti. Eppure, nulla aveva lasciato presagire un epilogo così drammatico.
In aula, durante l’udienza conclusiva, la donna non era presente. Al suo posto, tra i banchi, sedevano il padre e una zia, silenziosi, stretti nel dolore e nella vergogna. Presente anche l’avvocato che rappresenta il marito della donna, parte offesa nel processo, rimasto da solo ad affrontare il lutto per la perdita della figlia e lo shock per ciò che è accaduto.