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Anche la ‘Ndrangheta partecipò alle stragi: ergastolo per i boss Graviano e Filippone

Secondo i giudici il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e quello di Melicucco, Rocco Santo Filippone, furono i mandanti degli attentati calabresi contro i carabinieri in cui persero la vita  tra il 1993 e il 1994 i brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, mentre rimasero gravemente feriti altri quattro militari.
A cura di Davide Falcioni
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Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, boss di Cosa Nostra e della ‘Ndrangheta, sono stati condannati all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Reggio Calabria: i due erano accusati di essere stati i mandanti degli attentati calabresi ai carabinieri. La lettura della sentenza è avvenuta nel pomeriggio di oggi nell'aula bunker del tribunale di Reggio e la decisione dei giudici prevede anche l'isolamento diurno per 18 anni per i due imputati. Altri 18 anni di carcere sono stati comminati a Filippone per l'associazione mafiosa e per entrambi la sospensione della patria podestà. Secondo i giudici, quindi, il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e quello di Melicucco, Rocco Santo Filippone furono i mandanti degli attentati calabresi contro i carabinieri in cui persero la vita  tra il 1993 e il 1994 i brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, mentre rimasero gravemente feriti altri quattro militari. Quell'attacco venne deciso dai vertici delle due organizzazioni criminali Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. Graviano rappresentava il direttorio che governava la prima, mentre Filippone, espressione del clan dei Piromalli, venne delegato a rappresentare la ‘Ndrangheta tutta.

Secondo i procuratori Giuseppe Lombardo e Giovanni Bombardieri quei tre attentati contro i carabinieri che fra il dicembre ’93 e il febbraio ’94 sono costati la vita ai brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo e gravi ferite ad altri quattro militari, non furono la tragica bravata di due picciotti in cerca di gloria, bensì parte di un disegno eversivo molto più articolato. Secondo l'accusa infatti c’era “un comitato d’affari che comprende al suo interno ‘Ndrangheta, Mafia siciliana, politica collusa, pezzi di istituzioni e pezzi di servizi segreti. I pezzi di un sistema che incredibilmente convergono per rappresentare uno scenario che questa nazione non meritava di vivere né in quegli anni né in anni diversi”.

Durante la sua requisitoria, durata cinque udienze, il pm ha fatto ripetutamente al contesto politico che caratterizzava l’Italia tra il 1992 e il 1994, gli anni delle stragi realizzate ma anche tentate: come il famoso “colpo di grazia” che, dopo gli attentati ai carabinieri in Calabria, Graviano aveva ordinato a Spatuzza, in seguito diventato collaboratore di giustizia. “Il colpo di grazia” avrebbe dovuto essere un attentato allo stadio Olimpico – fortunatamente fallito – nel quale sarebbero dovuti morire decine di carabinieri che si sono salvati perché si inceppò il telecomando collegato all’esplosivo. “Non è che la fretta di Graviano per portare a termine il fallito attentato all’Olimpico era legata al fatto che la settimana dopo sarebbe stata annunciata la discesa in campo di Berlusconi?”. Si è domandato il procuratore aggiunto Lombardo durante il suo intervento in parte incentrato sul collegamento tra la strategia stragista di Cosa nostra e ‘Ndrangeta e la fondazione di Forza Italia.

L'accusa ha inoltre ricordato che “Riina aveva coinvolto i calabresi ed i napoletani nella strategia non solo sul versante puramente stragista ma anche in quello politico, che prevedeva il massiccio sostegno elettorale da dare a Forza Italia”. Accantonati i progetti separatisti di Sicilia Libera, dopo le amministrative dell’ottobre 1993, vinte dal Pds di Achille Occhetto, le mafie decisero di appoggiare il partito di Berlusconi, nato il 26 gennaio 1994, alla vigilia dell’arresto di Giuseppe e Filippo Graviano. Che Cosa nostra e ‘Ndrangheta avessero trovato un interlocutore è un concetto espresso più volte addirittura dal boss di Brancaccio. “Nello stesso modo – riporta la memoria del pm depositata agli atti della Corte d’Assise – il Graviano, nel corso delle confidenze fatte all’Adinolfi, confermate nel corso del suo esame dibattimentale, conferma come il progetto separatista venne di fatto superato tra la fine del 1993 e gli inizi del 1994, nel momento in cui si registrò la formale discesa in campo di Silvio Berlusconi e la creazione del movimento politico Forza Italia (il cui progetto era a lui noto già dal metà del 1992). Tale nuova entità politica otteneva l’appoggio delle mafie sulla base di un accordo che prevedeva, fra l’altro, proprio la rivisitazione migliorativa per i detenuti della disciplina dettata dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Che tale accordo fosse effettivo lo si ricava dal particolare risentimento che il Graviano manifesta, nel corso dei colloqui intercettati, nei confronti di Silvio Berlusconi, al quale rimprovera di aver disatteso sostanzialmente tali patti”.

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