306 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni

Non studio, non lavoro e me ne fotto

La disoccupazione, dice l’Istat, non era mai stata tanto alta. I giovani, insomma, vogliono dirci tutti, sono fottuti, finiti. Se il futuro non c’è, fottersene è l’unica fuga possibile. Senza lavorare e studiare, andare al cinema e fare sport, resteremo tutti ugualmente poveri. Ma almeno si potrà provare ad essere più felici.
A cura di Federico Mello
306 CONDIVISIONI
Immagine

Settantasette. Quell’anno di rivolta e di follia, di carri armati schierati nelle cittadelle universitarie, di P38 e di Kossiga con la Kappa, torna oggi, a distanza di 35 anni, con tutta la sua forza.

“Chiedi a ’77 se non sai come si fa” cantava Giovanni Lindo sul giro di basso del suo punk-rock racconto di una stagione. Ma a riportare l’anno dell’assalto al cielo nei titoli di giornali, nelle interpretazioni dei sociologi, nelle analisi del tempo che viene, non è stata l’ennesima commemorazione, il festeggiamento con autocoscienza per l’anniversario dei sette lustri.

Molto più prosaicamente ci ha pensato l’istituto nazionale di statistica a riportarlo in auge, mettendo sul piatto 10 anni in più rispetto a quelli denunciati dal governatore della Banca d’Italia, Visco (“Il Paese è in ritardo di 25 anni” il suo allarme).

La disoccupazione, dice l’Istat, non era mai stata tanto alta da allora. 12,8 il dato generale, 41 per cento tra gli under24; addirittura sfonda il 50 tra le giovani del Mezzogiorno. Il lavoro, semplicemente, non c’è, e nessuno sembra avere idea di come crearlo.

Ci si mettono anche i sindacati a scrivere una sceneggiatura millenaristica: torneremo ai livelli di occupazione pre-crisi nel 2076, vaticinano, manco stessero pensando al prossimo film dei gemelli Wachowsky.

I giovani, insomma, vogliono dirci tutti, sono fottuti, finiti. Come guardare al domani, al futuro, a quello che verrà, con questi numeri davanti? La parola che va per la maggiore, piuttosto, è Neet, “Not in education, employment or training”, sono i ragazzi “né-né”, quelli che né studiano né lavorano. L’Ocse, per l’Italia, li ha stimati nei termini del 21,5 per cento del totale.

Non studiano-Non lavorano. Non studiano-Non lavorano. Non studiano-Non lavorano. Lo ripetono politici in favore di telecamera, studiosi nella loro prosa elegante sulle colonne dei quotidiani, giornalisti up-to-date nelle loro video-rubriche sul web. Non studiano-Non lavorano. Non studiano-Non lavorano. Non studiano-Non lavorano. Sembra un mantra, una frase pronta a diventare remix virale in Rete, a farsi tormentone.

Eppure, chi come me nel 1977 ci è nato, chi nel 1999 non poté fare a meno di esultare per l’arrivo, anche soltanto per una settimana, di Tabula Rasa Elettrificata dei Csi in testa alle classifiche di Tv Sorrisi e Canzoni (sembrò l’abbordaggio di una nave pirata ad una porterei, allora), non può non tornare con la memoria ancora a lui, a Giovanni Lindo.

Non studio non lavoro non guardo la tv. Non vado al cinema non faccio sport. Cantava. Che gran pezzo. Quelle chitarre che ti graffiavano le ossa, quella voce che già salmodiava da santone, anche se ancora laico, ancora non “tornato a casa”, da reduce, tra le braccia di santa romana chiesa.

L’album che conteneva “Io sto bene” era “Affinità e divergenze tra il compagno Togliatti e noi”; “Del conseguimento della maggiore età”, il sottotitolo. Correva l’anno 1985 e quell’urlo liberatorio, “non ricordo più bene, una formalità”, era tirato come un bullone contro gli Yuppies e i paninari, i Jerry Calà e i Drive In, i Colpo Grosso e i De Michelis. Era libertà, allora, non studiare e non lavorare, mandare affanculo non i politici (che son bravi tutti a farlo), ma un modello che ti voleva intruppato, arricchito a tutti i costi, omologato, impettito su cravatte sgargianti o orgogliosa di spalline improbabili.

Erano anni di boom, quelli. E i neet non si sapeva neanche cosa fossero. Oggi siamo in crisi e quella che era una scelta di autonomia, di libertà, è diventata una condizione subita, uno stigma da portarsi dietro fino alla vigilia del centenario, fino a quel 2076 nel quale, tranne sorprendenti ritrovati della tecnica, saremo tutti morti.

Ma se questo è il futuro che non c’è, meglio il punk, allora. Meglio un fuck U! rivendicato e voluto, sputato in faccia, piuttosto che portarsi appiccicata sulla fronte quella etichetta che ha il fastidioso sapore dell’onta. Se il futuro non c’è, fottersene è l’unica fuga possibile. Senza lavorare e studiare, andare al cinema e fare sport, resteremo tutti ugualmente poveri. Ma almeno si potrà provare ad essere più felici. E forse, anche un po’ più liberi.

306 CONDIVISIONI
Immagine
35 anni, leccese, giornalista. Sono stato blogger, poi Annozero, Il Fatto Quotidiano e Pubblico. Ho scritto «Il lato oscuro delle stelle» : http://goo.gl/nCnaI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views