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Navi dei Veleni, “Così affondavamo i rifiuti tossici con l’aiuto dei servizi segreti”

Fanpage.it ha incontrato un ex mafioso che si è occupato dei traffici di rifiuti via nave: dal ruolo dei servizi segreti italiani fino alla sorte delle navi utilizzate per trasportare e far sparire i rifiuti tossici, il fenomeno delle “navi a perdere” resta uno dei buchi neri della storia italiana su cui non si è fatta ancora luce. E intanto secondo la nostra fonte due navi sarebbero ancora in superficie nascoste in due porti italiani…
A cura di Antonio Musella
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La storia delle navi dei veleni, ovvero i cargo utilizzati per trasportare illecitamente rifiuti tossici e in molti casi affondati nel Mediterraneo con il loro carico di veleni tra gli anni '80 e '90, resta ancora oggi uno dei misteri italiani più fitti. Abbiamo incontrato in una località segreta un pentito di Mafia che ci ha raccontato una parte della storia delle "navi a perdere" a cominciare dal ruolo dei servizi segreti italiani che agevolavano i trasporti e le concessioni doganali in cambio di una fetta dei guadagni, "la fetta più importante" secondo la nostra fonte. Ma i cargo con i loro carichi di veleni non finivano tutti in fondo al mare, in molti casi le navi venivano vendute durante il loro tragitto insieme al carico di morte che veniva poi smaltito in parte in mare e in parte in terra.

I servizi segreti avevano la fetta più grossa dell'affare

Il primo a parlare delle navi dei veleni fu il pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti che raccontò ai magistrati della Direzione Antimafia di Reggio Calabria come le ndrine calabresi, in collaborazione con i servizi segreti, riuscivano a far sparire milioni di tonnellate di rifiuti tossici provenienti dalle industrie italiane ed europee affondando le navi cargo su cui erano state clandestinamente caricate. Fonti morì nel 2012 di morte naturale senza che le sue dichiarazioni riuscissero a incidere sul lavoro dei magistrati.

Fu lui il primo a parlare dei rapporti tra le organizzazioni criminali e i servizi segreti italiani raccontando della figura di uno 007 del Sisde, ai tempi il servizio segreto civile, dal nome in codice "Pino". Il pentito raccontò, come dimostrano i documenti poi desecretati dalla Camera dei Deputati sotto la gestione di Laura Boldrini, che "Pino" era l'uomo che lo contattava per gestire i carichi di rifiuti e procedere all'affondamento delle navi, opera che veniva fatta direttamente dalle ndrine calabresi.

La nostra fonte spiega in maniera più dettagliata quello che Fonti disse ai magistrati 10 anni fa: "Esisteva una vera e propria sezione dei servizi segreti che si occupava delle navi, avevano il compito di agire per una intermediazione e assicurarsi che ai servizi fosse data la loro parte nell'affare, parte che era la più grande di tutte" ci spiega. Gli 007 italiani "concedevano i permessi doganali e agevolavano il viaggio delle navi esercitando le loro pressioni presso di uffici marittimi e garantendo controlli blandi durante la navigazione", insomma erano la longa manus che permetteva il traffico dei rifiuti via mare nel nostro paese. Per la nostra fonte: "i servizi non si occupavano dello smaltimento finale ma solo dell'organizzazione generale", e cita un esempio capitato proprio a lui che grazie all'intermediazione dei servizi segreti è riuscito a spedire un'arma all'estero attraverso un'autorizzazione consolare.

Le navi non sono tutte affondate: "Due sono nei porti italiani"

Ma dove sono finte le navi? Sono tutte in fondo al mare? Il primo a contrastare questa tesi è stato proprio Alessandro Bratti presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulle ecomafie che in una intervista a Fanpage.it disse : "Non escludo che ci siano stati affondamenti di navi con carichi di rifiuti pericolosi, ma non è detto che tutte le navi siano state affondate, non ci si è mai soffermati sul percorso fatto dai rifiuti sulla loro partenza e i loro arrivo e smaltimento".

Il racconto della nostra fonte sembra avvalorare la posizione del presidente della commissione ecomafie: "Alcune navi sono arrivate a destinazione, altre invece venivano vendute prima, insieme al loro carico, che veniva scaricato in parte in mare e in parte a terra. Le navi che sono state scaricate (e quindi non affondate ndr) erano quelle che dovevano essere salvate perché in parte servivano per fare altri viaggi di rifiuti tossici e in parte dovevano anche riprendere i loro normali viaggi commerciali".

In buona sostanza per alcuni cargo si alternavano i viaggi di rifiuti tossici con viaggi commerciali semplicissimi, con i carichi sempre nella stessa stiva ovviamente. "Non tutte le navi erano a perdere – ci dice il nostro uomo – quelle che venivano affondate erano quelle assicurate con un premio alto per la perdita e quindi gli armatori incassavano anche i soldi dell'assicurazione".

Ma due di queste navi sarebbero ancora in superficie: "Ci sono ancora due navi che sono dismesse ma sono in superficie e si trovano nei sedimenti di due porti italiani, ma bisogna saperne la posizione per poterle individuare altrimenti non si notano" queste navi, secondo la nostra fonte, sono servite per i traffici di rifiuti via mare e conterrebbero ancora una piccola parte di carico abbandonato nelle loro stive. Abbiamo provato a più riprese a farci dire dalla nostra fonte i nomi delle località che ospitano nei loro porti le due navi dismesse ma senza risultati.

Il mistero delle rotte: non si trovano in Calabria

Secondo il pentito Francesco Fonti molte navi sarebbero state affondate al largo delle coste calabresi. Una tesi che ha trovato riscontro anche nello storico dossier di Greenpeace sulle "navi a perdere" che ha consegnato il primo elenco delle navi dei veleni con nomi e possibili posizioni. Da Capo Spartivento alle coste di Cetraro per molti anni le acque della Calabria sono state considerate la tomba dei rifiuti tossici. Ma la nostra fonte ci racconta una storia diversa: " Le rotte che io ho letto non sono quelle delle navi – racconta – le navi non andavano tutte vicino alla Calabria".

La spiegazione della difformità delle rotte viene spiegata in questo modo: "Io, servizio segreto, in accordo con la ndrangheta ti chiedo di farmi questo piacere, di far scomparire questo rifiuto e ti pago profumatamente: secondo voi erano così stupidi in Calabria che si mettevano tutta quella roba in casa? A Napoli è successo, ma in Calabria no". In buona sostanza la ndrangheta non avrebbe consentito un massiccio sversamento di rifiuti tossici sul proprio territorio come invece è avvenuto con il clan dei Casalesi tra le province di Napoli e di Caserta.

In Calabria a Cetraro nel 2009 si parlò del ritrovamento della nave Cunski una delle navi a perdere al largo delle coste. Le coordinate furono date alla magistratura dal pentito Francesco Fonti, ma i rilievi del Ministero dell'Ambiente portarono al ritrovamento della motonave "Catania" affondata nella seconda guerra mondiale. O almeno così fu comunicato dall'allora governo presieduto da Silvio Berlusconi, all'opinione pubblica. Secondo la nostra fonte la Cunski: "Ha trasportato quel materiale in due occasioni, ma non trasportava rifiuti abitualmente".

Il pentito intervistato da Fanpage.it sembra condividere l'ipotesi che le coordinate riferite da Fonti fossero errate e quella in fondo al mare non è una delle navi dei veleni. "Le coordinate erano sbagliate, l'unico che si avvicinò al punto preciso di uno degli affondamenti fu De Grazia, quello che fu ucciso, anche se pure la sua indicazione non era precisa". Natale De Grazia era il capitano di fregata della Marina militare che indagò sulle navi dei veleni e morì avvelenato nel 1995 mentre si stava recando a La Spezia per relazionare ai magistrati sulla sua attività di indagine. La sua morte è sempre rimasta avvolta nel mistero così come le sue indagini che sembravano aver aperto uno squarcio per arrivare alla verità sulle "navi a perdere". Proprio al riguardo del Cunski la nostra fonte ci tiene a precisare una circostanza per nulla marginale: "Tenete presente una cosa, non esisteva un solo Cunski, non c'era una sola nave con quel nome ma ce n'erano ben tre, tre navi diverse con lo stesso nome ma bandiera e proprietà differenti".

Lo stesso nome per tre navi avrebbe favorito i traffici e anche lo spostamento dei carichi che potevano passare da una nave all'altra facendo perdere le proprie tracce. Ad agevolare l'intero sistema dei traffici di rifiuti via mare ci sono anche le norme del diritto internazionale del mare. Secondo il codice infatti una nave in appena 48 ore può essere venduta, cambiare bandiera e cambiare nome, un sistema così rapido che agevola i traffici permettendo di agire nell'ombra.

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