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La strana storia di Saverio Masi: il caposcorta di Di Matteo che qualcuno vorrebbe zitto

Saverio Masi si è occupato delle più importanti indagini di mafia e camorra, oggi è il caposcorta di Nino Di Matteo. E’ testimone nel processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Provenzano e nel delicato processo sulla “trattativa”. Ha seguito le tracce di Messina Denaro. E oggi potrebbe essere destituito per una multa.
A cura di Giulio Cavalli
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Saverio Masi non è un carabiniere qualsiasi: il maresciallo Masi è l'uomo che forse più di tutti è stato vicino alla cattura di Matteo Messina Denaro, il superboss di Cosa Nostra considerato l'ultimo vero "padrino" dopo Riina e Provenzano. Per due volte nella zona di Bagheria, Saverio Masi ha segnalato ai propri superiori, in pesantissime relazioni scritte, la possibilità di avere individuato  la sede della latitanza di Messina Denaro pedinando prima il fratello dell'amante del boss, Maria Mesi, e poi addirittura avendo la sensazione che un'auto fosse guidata dallo stesso Messina Denaro. Due relazioni inspiegabilmente mai arrivate in Procura.

Ma Saverio Masi è anche uno dei testimoni del processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano in cui depose il 21 dicembre del 2010 e sarà uno dei teste chiavi nel processo sulla trattativa per riferire come si legge nella lista testimoniale della procura, sugli “ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività investigativa finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano”. Oggi il maresciallo Masi è il caposcorta di Nino Di Matteo, il magistrato più a rischio di questi ultimi anni. Insomma: sembra facile intuire che, come descritto nelle valutazioni, il carabiniere Masi ha alle spalle una carriera che la stessa Arma dei Carabinieri definisce eccellente. Fino a poco tempo fa.

Oggi Saverio Masi rischia di essere estromesso dal lavoro che ama per una multa. Sì, per una multa e la storia vale la pena raccontarla dall'inizio: nel 2008 Masi viene contattato da un confidente che ha urgenza di fargli alcune comunicazioni, prende la propria auto e corre nel luogo stabilito. Corre. E prende una multa per eccesso di velocità. Compila una relazione di servizio in cui dichiarando di essere "in servizio": firma la relazione allegando una lettera di accompagno del proprio superiore con l'aggiunta della dicitura "APS" (assente per servizio). La Procura chiede conferma agli ufficiali dei carabinieri e qui inizia la "strana" storia: durante il processo i superiori dichiarano di non avere mai autorizzato nessuno all'utilizzo della propria auto privata e Masi viene condannato a otto mesi di reclusione più le spese processuali.

C'è qualcosa che non torna? Sì. Moltissime: dalle carte Saverio Masi risulta "comandato" in quel giorno quindi effettivamente impegnato in "indagini di polizia giudiziaria". Durante il processo si nega di avere dato mai l'autorizzazione ad utilizzare auto private in fase di indagine quando molti colleghi di Masi hanno dichiarato il contrario Inoltre durante il dibattimento sono stati considerati "irrilevanti" e quindi non ammissibili alcuni documenti che probabilmente avrebbero scagionato l'imputato Masi. La firma di Masi corrisponde perfettamente alle firme sul suo passaporto, a dimostrazione che non c'era nessuna volontà di falsificare alcunché. Ma niente: la condanna viene confermata.

Ma non è questo il punto: l'iter processuale si è concluso con una condanna in Cassazione e la successiva denuncia di Saverio Masi verso alcuni suoi superiori per "falsa testimonianza" potrebbe portare addirittura ad una revisione del processo ma l'isolamento forzato di Masi accende soprattutto alcune domande dal punto di vista etico: è credibile che un "servitore dello Stato" che per anni si è occupato dei più importanti casi di criminalità organizzata (prima in Campania e poi a Palermo) mettendoci spesso del suo (dai mezzi, alla benzina, fino alle ore di straordinario mai pagate) possa mettere a rischio la propria carriera (di un lavoro che Masi dichiara di amare moltissimo) per una semplice multa? E' possibile che chi ha assunto posizioni "non convenzionali" sui processi che stanno cercando di fare luce sugli anni più bui della nostra Repubblica (dal processo trattativa, al Mori-Obinu, per citarne qualcuno) sia puntualmente isolato e delegittimato? E poi, è possibile che un maresciallo dei carabinieri che gode della fiducia del magistrato più esposto del momento, Nino Di Matteo, possa essere un manigoldo truffatore per qualche decina di euro?

Ci sono ambienti (lì dove le mafie incrociano pezzi di istituzioni) in cui nulla accade per caso. Serve solo il tempo per trovarne la spiegazione. E intanto, magari, sarebbe la pena seguire le vicende da vicino per non lasciare solo nessuno.

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