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Opinioni

Il ministero dà i numeri (sbagliati) sul lavoro: dobbiamo fidarci ancora del governo?

L’episodio dell’errore nei dati nel ministero sul lavoro apre una riflessione sui dati del governo. E pone un problema politico: possiamo fidarci ancora di quello che ci dicono?
A cura di Michele Azzu
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E così i dati del ministero del lavoro sui nuovi contratti erano sbagliati. Sono servite alcune ore e un po' di insistenza da parte dei giornalisti per avere i dati corretti e l'ammissione da parte del ministro del lavoro Poletti: "Si è trattato di errore umano". Come si parlasse di una strage aerea o di un atto terroristico. Il che spiega bene il livello di drammaticità a cui siamo arrivati ogni volta che ragiona sui dati del lavoro.

Come scrivono Il Corriere della Sera e Il Manifesto, nei primi sette mesi del 2015 si sono registrati 327.758 contratti a tempo indeterminato in più, e non 630.585 come comunicato in precedenza. Va dimezzato il numero dei contratti registrati in più a tempo indeterminato, comprese le stabilizzazioni. Il dato rimane comunque positivo rispetto ai 12.875 dei primi 7 mesi del 2014.

Ma il clamoroso errore nei dati del ministero è forse una buona occasione per ridiscutere questi dati. Se infatti ormai da mesi Matteo Renzi spaccia come grande vittoria i dati sul lavoro, sono due le considerazioni che possiamo trarre dal dibattito e dai numeri sul piatto del governo.

In primo luogo, questo considerevole aumento degli indeterminati è da ascriversi ai primi mesi dall'introduzione del nuovo contratto a tutele crescenti: da maggio i nuovi indeterminati aumentano in misura sempre minore. Nel mese di luglio, il saldo positivo dei contratti indeterminati, ad esempio è di 47 nuovi contratti al netto delle cessazioni, secondo quanto riporta la stessa nota del ministero. A maggio erano 271. Un po' pochino, rispetto ai primi mesi dell'anno, un po' poco per essere ottimisti.

Lo slancio dei primi mesi, come si è scritto più volte su Fanpage.it, era ampiamente prevedibile, dato che le aziende da mesi e anni aspettavano l'introduzione del nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti senza articolo 18, che dà loro ampia libertà di licenziare il neo assunto nei primi tre anni di contratto. La prima considerazione è dunque semplice: i numeri sono positivi – e viva tutti – ma la tendenza è in diminuzione e questo il governo sembra non vederlo.

In secondo luogo si pone il problema politico. Il dibattito sui numeri dei contratti e del lavoro, fra Ministero del Lavoro, governo, Istat e Inps, è ormai diventato un campo di battaglia in cui non si riesce più ad intravedere il dato reale. Il governo utilizza, volta per volta, i dati più comodi all'annuncio facile, e con poca accuratezza nel controllo dei numeri.

Mi chiedo, ma la prossima volta come potremo fidarci dei dati del governo? Perché quello che emerge, oltre il problema del lavoro, è un problema di fiducia. Come scrive su Il Manifesto Marta Fana: "In Italia si persevera nell’idea che le informazioni statistiche siano un giocattolo ad uso e consumo dei governi e non invece il mezzo di sintesi che per eccellenza ci restituisce nitidamente i fatti".

E questo è un problema politico, che parla di fiducia, del rapporto fra governo, media e cittadini. Delle prassi che i ministeri e il governo utilizzano nel predisporre questi dati, e della maniera in cui quei dati vengono interpretati e lanciati ai media a mezzo annuncio, o in 140 caratteri su Twitter.

Certo, fare di un errore umano nella nota del ministero addirittura una questione di democrazia può sembrare esagerato. Ma questa non è la prima volta che il governo Renzi inciampa sui dati, in particolare sul lavoro. È vero, anzi, il contrario: la produzione e l'interpretazione dei dati sul lavoro è un problema costante del governo Renzi.

Penso, ad esempio, ai monitoraggi del ministero sul progetto Garanzia Giovani, che doveva dare ai giovani fino ai 29 anni un lavoro o un tirocinio in pochi mesi dal colloquio. Nei rapporti che il ministero elabora ogni settimana da oltre un anno, ancora, non riusciamo a capire quanti giovani abbiano trovato un impiego in questi 16 mesi. L'ultimo rapporto del 31 luglio, ad esempio, ci dice che sono 699mila i giovani registrati, 10mila in più rispetto alla settimana precedente.

Di questi sono 408.429 sono stati "presi a carico" da parte dei servizi per l'impiego, e cioè hanno fatto il colloquio conoscitivo. A 142.523 iscritti è stata "proposta una misura". Cioè un tirocinio, un part-time, un contratto a chiamata o a tempo… non è dato saperlo, né possiamo sapere quanti di loro oggi abbiano davvero trovato lavoro. Ma allora a che serve il monitoraggio?

Da una parte c'è la questione dei dati: errati, male intepretati, utilizzati a proprio piacimento. Dall'altra rimane il problema politico. Perché, la prossima volta, come faremo a fidarci dei dati del governo?

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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