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Opinioni

Frontiere, beni confiscati, rimpatri: che vergogna l’Europa senza diritti

La Danimarca confisca i beni ai rifugiati, la Svezia li rimpatria. Con Schengen finiscono i diritti umani in Europa. Un cammino iniziato dalla Grecia dell’austerity.
A cura di Michele Azzu
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L’Europa sta finendo. Tutto quello che pensavamo di questa Unione, dei suoi valori, della sua storia, ha cominciato a crollare sotto il peso di quanto accaduto in Grecia lo scorso luglio, quando l’Europa ha costretto un paese sull’orlo del fallimento ad accettare un piano di austerity ancora più duro del precedente, che metteva fino ad ogni speranza per i giovani, i poveri, i più colpiti dalla crisi.

Da quell’ingiustizia abbiamo assistito ad un declino, tanto rapido quanto sorprendente, in cui ogni tutela dei diritti umani è stata cancellata. Dalla politica, dalla finanza. E dalla paura degli attentati terroristici avvenuti in Francia il 13 settembre scorso, in cui sono morte 129 persone. Paura delle violenze sulle donne avvenute a capodanno a Colonia e in altre città della Germania. Paura delle violenze come quella in cui è rimasta coinvolta l’operatrice danese di un centro d’accoglienza, morta dopo essere stata accoltellata da un minorenne rifugiato.

Già, perché il declino dei diritti umani a cui assistiamo in questi giorni nell’Unione Europea riguarda soprattutto l’emergenza migranti. Riguarda, soprattutto, il trattato di Schengen con cui dal 1995 i cittadini europei hanno potuto spostarsi fra i paesi dell’Unione senza controlli alle frontiere, grazie a cui ha potuto espandersi il programma Erasmus degli studenti universitari, grazie a cui centinaia di migliaia di persone hanno trovato lavoro all’estero e hanno iniziato a creare una vera cittadinanza europea.

Questa cittadinanza, questa unione, con tutto quello che rappresenta, ora sta per finire. Perché oggi la Svezia ha deciso di rimpatriare circa 80mila richiedenti asilo la cui richiesta è stata respinta. Sono poco meno del 50% di quelli che hanno fatto domanda, e verranno riportati a casa su voli appositamente noleggiati nel corso dei prossimi anni. Ma c’è anche la Danimarca, il cui parlamento ha appena approvato, con una grande maggioranza (81 voti favorevoli su 109) una legge che prevede la confisca dei beni superiori ai 1.300 euro dei richiedenti asilo, in modo da compensare le spese di accoglienza.

Una legge che a molti ha ricordato la confisca dei beni a cui i nazisti sottoposero gli ebrei al momento di salire su quei treni che li portavano verso i campi di sterminio. Ma la Danimarca non è la sola. A seguito di questa legge, è venuto fuori che la Svizzera provvede alla confisca dei beni (sopra i mille franchi di valore) dei rifugiati per coprire le spese di accoglienza con una legge in vigore già dal 1992. Una vergogna passata finora inosservata nel resto d’Europa, fino a che non è arrivata l’emergenza dei migranti dalla Siria del 2015.

Che fine ha fatto la grande solidarietà manifestata dall’Europa pochi mesi fa, dopo l’estate, quando ci si commuoveva con le immagini del piccolo Aylan morto in riva al mare, o quando si aiutava con passaggi in auto e bottiglie d’acqua chi dalla Slovenia e dall’Ungheria aveva deciso di arrivare a piedi fino a Berlino?

È tutto finito, solo questo si può pensare. Ma davvero una pese ricco come la Svizzera, il paese delle banche, ha bisogno di confiscare beni e contanti a chi rischia la vita su barche di plastica per attraversare il Mediterraneo in cerca di un futuro, lasciandosi alle spalle guerra, violenze, gli amici e i familiari? Dopo le torture, le prigioni, le bombe, anche questo devono subire, e per quattro soldi?

Purtroppo non si tratta di pochi casi in cui le destre al governo decidono di intervenire in maniera aggressiva contro i rifugiati. Non si tratta solo di Svezia e Danimarca. Purtroppo, negli ultimi mesi, quasi tutti i paesi europei hanno chiuso le frontiere, con buona pace del trattato di Schengen. Che, infatti, ora è a rischio di venire cancellato per i prossimi due anni, a meno che la Grecia non interverrà in maniera consistente per fermare gli ingressi di migranti dal mediterraneo, dato che proprio dalla Grecia arriva circa il 90% di queste persone.

Ancora, la Grecia. Ed è qui che i nodi dell’Europa vengono al pettine. Perché è proprio la Grecia, il paese che abbiamo immolato sull’altare dell’austerity, che dovrebbe mettere fine a questo scempio dei diritti umani, fermare il flusso di migranti nei prossimi tre mesi, e come diavolo potrebbe permetterselo, come dovrebbe fare a trovare le risorse e le strutture necessarie, quando la maggior parte dei restanti paesi europei ha provveduto all’accoglienza quando e come faceva loro più comodo?

Si diceva, appunto, il cammino verso la fine dei valori europei, e dei diritti, è iniziato molti mesi fa. Quando a gennaio hanno chiuso il ponte di Oresund, per impedire il passaggio di migranti, che collega la penisola della Danimarca alla Svezia, che unisce le città di Malmo e Copenhaghen. O ancora prima, quando l’Austria ha annunciato di voler chiudere temporaneamente le proprie frontiere, e a ruota anche Croazia e Slovenia hanno deciso di porre maggiori controlli alle dogane. Quando la Francia ha deciso di chiudere le frontiere per lo stato di emergenza seguito agli attacchi terroristici.

È iniziato tutto prima ancora, quando a settembre la Germania, dopo gli annunci all’accoglienza di Angela Merkel, chiudeva le frontiere e i treni di passaggio con l’Austria, perché le amministrazioni locali lamentavano di non riuscire più a reggere il peso degli arrivi (da quei treni arrivarono in 450mila). L’accoglienza, ormai, è talmente sovraccarica da non funzionare più. Pochi giorni fa un ragazzo siriano di 24 anni è morto di freddo a Berlino mentre attendeva da giorni, dormendo all’aperto, di poter entrare in una struttura per la registrazione dei rifugiati politici.

È iniziato, questo cammino contro i diritti umani dell’Europa, nel momento in cui il Regno Unito ha deciso di non farsi carico, praticamente, di nessuna di queste persone. Fino ad ora la cifra di rifugiati presi a carico dall’UK è imbarazzante: 20.000 nei prossimi 5 anni. Mentre in Germania nel 2015 sono arrivate un milione di persone, stando a quanto riporta l’ufficio federale tedesco, mentre oltre 800mila persone hanno raggiunto la Grecia via mare solo nel 2015, come riporta l’International Organization for Migration. Mentre altre centinaia continuano a morire nel Mediterraneo ogni settimana.

Come dimenticare quei recinti costruiti a settembre dall’Ungheria al confine con la Serbia, come dimenticare i manganelli, gli spray al pepe, i lacrimogeni e i cannoni ad acqua usati contro chi provava a chiedere asilo? Violenze simili sono accadute anche ai confini croati. L’ONU attaccò duramente quei fatti come violazioni dei diritti umani. L’opinione pubblica europea si scandalizzò. Ma da allora gli altri paesi, anziché invertire la rotta, hanno deciso di seguire quell’esempio, di erigere altri muri, di dire addio a Schengen e addirittura di rubare i beni di questi poveri esseri umani.

In tutto questo, Italia e Grecia si sono distinte. Fra mille problemi ed errori, in questi paesi l’accoglienza continua, e la solidarietà. Ma in compenso in Italia a gennaio il governo ha deciso di non depenalizzare il reato di clandestinità, un reato inutile e dannoso ma che, dicono, non sarebbe capito dall’opinione pubblica. La Grecia, invece, su cui pesa il fardello di salvare Schengen, ha davanti un compito quasi impossibile, schiacciata dal peso dell’austerity, proprio quell’accordo che ha iniziato il cammino verso la fine dei diritti umani in Europa.

Sui migranti l’Europa si sta giocando tutto ciò per cui ha ragione di esistere. I diritti umani, l’accoglienza, la solidarietà, la libera circolazione fra i paesi, la cultura. In cambio di quattro soldi confiscati, di qualche manifesto elettorale in più, di qualche punto percentuale nell’ennesimo sondaggio politico televisivo.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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