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La decisione del Parlamento Ue sull’aborto dimostra che in Europa non c’è spazio per chi si oppone ai diritti

Inserendo l’aborto tra i suoi diritti fondamentali, il Parlamento europeo mostra come la libertà nelle scelte riproduttive sia un metro di giudizio per la libertà di una comunità: solo se le donne possono scegliere per se stesse significa che la democrazia funziona.
A cura di Jennifer Guerra
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In foto: il Parlamento europeo a Strasburgo.
In foto: il Parlamento europeo a Strasburgo.

Con 336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astensioni, il Parlamento europeo ha approvato una mozione storica per inserire l’aborto tra i diritti fondamentali dell’Unione europea. Seguendo il recente esempio della Francia, che un mese fa ha inserito la libertà di interrompere la gravidanza nella Costituzione, l’intergruppo Renew Europe ha proposto di modificare l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali, affermando che “ognuno ha il diritto all'autonomia decisionale sul proprio corpo, all'accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l'accesso all'aborto sicuro e legale”.

Con la mozione, il Parlamento ha anche condannato alcuni Paesi europei che ancora limitano l’accesso all’aborto, come Malta, la Slovacchia e la Polonia, e ha chiesto di interrompere i finanziamenti dei gruppi anti-scelta, che si stima abbiano speso in Europa negli ultimi dieci anni più di 700 milioni di dollari in propaganda antiabortista e anti-gender.

A pochi mesi dalle elezioni europee, quello del Parlamento è un forte segnale contro la contrazione dei diritti riproduttivi in tutto il mondo, a partire dal ribaltamento della sentenza Roe v. Wade nel 2022 negli Stati Uniti, che ha posto fine a 50 anni di tutela legale dell’aborto. I conservatori di tutto il mondo hanno festeggiato la sentenza come una vittoria, mentre per i progressisti è stato un campanello d’allarme che ha dimostrato quanto i diritti che si danno per scontati possano essere cancellati da un giorno all’altro.

Molti partiti della destra e dell’estrema destra europea citano la restrizione dell’aborto – presentata come “difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale” – nei propri programmi e in alcuni casi i governi illiberali si sono serviti proprio dei fondi europei per portare avanti politiche antiabortiste, come nel caso dell’Ungheria che nel 2011 li utilizzò per una campagna contro l’aborto negli ospedali. Ora che l’aborto verrà inserito nei diritti fondamentali dell’Unione, sarà più difficile applicare politiche esplicitamente antiabortiste.

La decisione però non influisce soltanto sull’interruzione di gravidanza: le restrizioni sull’aborto non riguardano solo chi non vuole proseguire una gestazione. Come dimostra ciò che sta succedendo negli Stati Uniti, le restrizioni all’aborto hanno un impatto negativo anche sugli aborti spontanei, sull’accesso alla contraccezione, sulle cure per la fertilità, sulla fecondazione assistita, sulle gravidanze in giovane età e in generale sulla qualità della medicina. Senza contare che il divieto d’aborto, contrariamente a ciò che molti pensano, non pone fine al fenomeno dell’aborto, ma lo rende soltanto più pericolo perché praticato clandestinamente.

Ma la scelta del Parlamento è storica anche per il portato politico di questa decisione: la libertà nelle scelte riproduttive è un metro di giudizio per la libertà di una comunità e soltanto se le donne possono scegliere per se stesse ciò che desiderano significa che la democrazia funziona. Quando lo Stato interviene con leggi repressive sul corpo delle donne significa che la democrazia è in pericolo, perché è il momento in cui il potere politico entra nella sfera più intima e privata della vita delle persone.

Negli ultimi anni, la destra e l’estrema destra europee hanno lavorato a lungo per attaccare l’aborto, impedendolo con leggi e divieti nei casi più eclatanti, ma anche delegittimandolo attraverso operazioni più subdole, come il sostegno crescente ai gruppi antiabortisti e la loro normalizzazione negli spazi della democrazia. Il problema è che queste iniziative sono l’esatto contrario della democrazia, perché garantire “il diritto all'autonomia decisionale sul proprio corpo”, come recita il nuovo testo dell’articolo 3, significa garantire libertà di scelta. Al contrario, chi vorrebbe cancellare l’aborto ha già imposto una scelta per tutte le donne: portare avanti una gravidanza anche se non si vuole o non si può fare. Ora che l’aborto diventerà un diritto fondamentale per l’Unione europea, chi vorrà interrompere una gravidanza lo potrà fare con una sicurezza in più. Chi è contrario all’aborto, potrà continuare a non abortire.

La sfida ora è far sì che questo diritto venga applicato pienamente in Paesi come la Polonia, il cui nuovo governo ha promesso di ripristinare il diritto all’interruzione di gravidanza cancellato dall’amministrazione illiberale del Pis, ma anche l’Italia, dove sulla carta tutto funziona alla perfezione, ma dove in realtà l’accesso all’aborto è sempre più complicato e le associazioni antiabortiste hanno campo libero di azione, finanziate anche con soldi pubblici.

Con questa mozione, il Parlamento europeo ha dimostrato che in Europa non c’è spazio per chi si oppone ai diritti delle donne, mascherando i propri reali intenti con la “tutela della vita”. La vita che va tutelata è quella delle 384 milioni di donne (a cui vanno aggiunte anche le persone trans e non binarie) che vivono in Europa in questo momento e che hanno bisogno di una salute sessuale e riproduttiva all’altezza dei loro diritti.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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