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Opinioni

Brexit, rischio effetto domino: Francia, Svezia, Olanda pronte al referendum. Sarà Uexit?

Marine Le Pen vuole il referendum in Francia, ma anche Svezia, Danimarca e Polonia sono insofferenti verso l’Unione Europea. E in Italia?
A cura di Michele Azzu
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Il nuovo slogan contro l’Unione Europea oggi è “Frexit”: dopo il Regno Unito che il 23 giugno andrà alle urne a votare per rimanere o lasciare l’UE, anche la Francia inizia a manifestare i primi timori che in caso di vittoria della Brexit, nel caso che Londra lasci l’Europa, anche Parigi potrebbe seguirne l’esempio nell’arco di alcuni mesi.

Dopo la Brexit arriva la “Frexit”, e cioè l’exit della Francia. A fare da megafono a questa istanza c’è Marine Le Pen, leader francese del partito di destra “Front National”, attualmente in corsa per le elezioni presidenziali in Francia del 2017, e che ha affermato: “Da presidente una delle prime misure sarà il referendum per uscire dall’Unione Europea”.

Le Pen parla di una Unione Europea “à la carta”, in cui come al ristorante (francese) si potrebbe decidere cosa accettare e cosa no, volta per volta. Ma nonostante la "sparata" elettorale, i sondaggi danno il popolo francese come ben radicato in Europa: solo uno su quattro sarebbe favorevole a una Brexit anche nel paese della rivoluzione.

Eppure, i segnali non sono buoni. Perché il referendum del Regno Unito ha innescato un effetto domino di cui è difficile ora prevedere gli esiti, ma se il 23 giugno dovesse vincere il voto per lasciare l’UE, sono tanti i paesi che hanno manifestato in queste settimane intenzioni serie per procedere ad altre “exit”, e ad altri eventuali referendum nel corso dei prossimi mesi.

Si parte dai paesi vicini, culturalmente ed economicamente, al Regno Unito, come Olanda e Svezia. Ma anche nell’Europa dell’est potrebbero scatenarsi sentimenti simili, come ha ammonito nei giorni scorsi il ministro degli esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn: “Polonia e Regno Unito sembrano avere la stessa agenda nei confronti dell’UE”, ha lamentato Asselborn sulla stampa tedesca.

Da una parte ci sono i sentimenti anti-austerity, forti in paesi come la Grecia, la Spagna e l’Italia. E ovviamente in Francia, dove da settimane sono in corso durissime proteste contro la riforma del lavoro – simile a quella approvata da Matteo Renzi in Italia e prima ancora in Spagna – che vuole introdurre più flessibilità e mettere fine alle 35 ore settimanali di lavoro francesi, come chiesto da Bruxelles.

Dall’altra parte, come spiega l’istituto americano Pew Research Centre nel suo rapporto "L'euroscetticismo oltre la Brexit", giocano i sentimenti scatenati negli ultimi mesi dall’emergenza rifugiati: dalla Danimarca alla Svezia, dall’Ungheria alla Polonia c’è una fetta di opinione pubblica che incolpa l’Unione Europea di non avere saputo gestire adeguatamente l’emergenza. Del resto il tema immigrazione pesa anche nel Regno Unito della Brexit, con la (notevole) differenza che lì i sentimenti di intolleranza sono diretti anche verso gli immigrati europei, italiani compresi.

Possibile che gli unici a voler rimanere nell’Unione Europea siano la Scozia, che in caso di Brexit chiede già un referendum per separarsi dal Regno Unito, e la Grecia, che per rimanere nella nostra valuta e nell’UE ha pagato un prezzo altissimo con l’austerity, i tagli al welfare e ai servizi e la cessione di buona parte delle proprie poltiche economiche all’Eurogruppo e al Fondo Monetario internazionale?

I dati più recenti di Eurostat e di Pew, purtroppo, non sono positivi. Secondo l’Eurostat (su dati del 2015) la percentuale degli intervistati che ritengono essere membri dell’UE sia una cosa buona sono solo il 35% in Repubblica Ceca, il 37% in Austria, il 42% in Italia. I dati appena pubblicati nel nuovo rapporto da Pew, invece, dicono quanti europei disapprovino le scelte economiche dell’UE: si tratta del 92% dei greci, il 68% degli italiani, il 66% dei francesi, il 65% in Spagna, il 59% in Svezia.

Insomma, sembrerebbe l’economia la prima causa del poco gradimento dell’UE da parte dei cittadini. Fiscal compact, flessibilità sul lavoro, la disoccupazione, i Neet, i tagli al welfare. Del resto anche nel Regno Unito la campagna elettorale di chi vuole la Brexit si è concentrata proprio su questo, dipingendo Bruxelles come una “sanguisuga” dell’economia britannica, e incolpando l’immigrazione di ogni malessere dei cittadini UK. Ma tutto questo potrebbe allargarsi oltre il Regno Unito. Vediamo come.

FRANCIA. Si diceva, Marine Le Pen promette un referendum anche in Francia per uscire dall’Unione Europea, nel caso venisse eletta presidente nel 2017. "Tutti i popoli devono poter votare sull'appartenenza all'Unione europea". E se anche i sondaggi danno una bassa percentuale di francesi favorevole a una ipotesi di “Frexit”, l’annuncio di Le Pen significa che nei prossimi mesi il dibattito nel paese potrebbe concentrarsi su questo, e già nel Regno Unito abbiamo visto come le cose siano andate fuori controllo, con i due principali partiti del paese che non sono riusciti a controllare il dibattito.

E dato che i sondaggi – lo hanno dimostrato le elezioni più recenti in tutti i paesi europei – non sono più in grado di indicare il polso dei sentimenti dei cittadini, la situazione potrebbe benissimo ribaltarsi nel giro di pochi mesi. Soprattutto se consideriamo che la riforma del lavoro per cui da mesi si protesta a Parigi e in Francia, è voluta proprio da Bruxelles. Secondo i rapporto del Pew Research Centre, il 61% dei francesi non gradisce più l’Unione Europea.

SVEZIA. Se il Regno Unito dovesse lasciare l’UE, la maggioranza dei cittadini svedesi vorrebbe seguire la stessa strada, secondo un nuovo sondaggio dell’istituto di ricerca Sifo che riporta il sito di news dall’Europa Euractiv. Se al referendum nel Regno Unito dovesse vincere l’ipotesi per l’uscita dall’Unione Europea, al 36% degli svedesi piacerebbe seguire l’esempio dei britannici, mentre rimarrebbe contrario il 32%. Al momento attuale, invece, con il Regno Unito nell’unione, il 44% degli svedesi preferirebbe rimanere e il 32% uscire.

Il ricercatore dell’Istituto Europeo per gli Studi Politici (SIEPS), Goran Von Sydow, ha spiegato che la Gran Bretagna è vista tradizionalmente come un paese alleato della Svezia, e per questo motivo lo scenario della Brexit causerebbe un cambiamento così importante nell’opinione pubblica. Ma nel paese scandinavo ha pesato sul peggioramento della percezione dell’UE anche l’emergenza rifugiati: sono 163mila quelli che nel 2015 hanno chiesto asilo in Svezia.

DANIMARCA. Kenneth Kristensen Berth, il portavoce del secondo partito del paese, il nazionalista “Partito Popolare Danese”, ha dichiarato che un voto per l’uscita dell’UK dall’Europa porterebbe automaticamente la Danimarca a riconsiderare il proprio ruolo nell’UE. Anche la Danimarca ha forti rapporti con la Gran Bretagna, in cui esporta buona parte dei suoi prodotti. In un’intervista col quotidiano Politiken, il parlamentare ha dichiarato:

“Dovremo seriamente considerare che idea di sviluppo avrà l’UE dopo una uscita del Regno Unito”. Lo scorso dicembre il paese aveva votato contro l’adozione delle regole comunitarie europee riguardo i controlli alle frontiere, col 53% di voti a favore, facendo così vincere proprio la posizione del Partito Popolare Danese, fortemente anti-immigrazione. A seguito di questo referendum, la Danimarca dovrà negoziare con l’UE un nuovo accordo per poter accedere all’Europol.

OLANDA. In Olanda otto cittadini su dieci pensano che la Brexit potrebbe innescare un “effetto domino” che porterebbe altri paesi a lasciare l’Unione Europea. Un sondaggio condotto dal programma televisivo “EenVandaag”, che conduce i principali sondaggi online del paese, riporta che l’81% degli olandesi intervistati crede che la Brexit si rifletterà sull’uscita di altri paesi dall’UE. Mentre il 69% ha una percezione negativa dell’unione. Il 54% degli intervistati, inoltre, affema di volere un referendum per uscire dall’UE anche in Olanda. E in caso di voto, il 48% afferma che voterebbe per lasciare l’unione, mentre il 45% per restare. Il sondaggio ha coinvolto 27.000 persone.

POLONIA. Il 19 giugno il ministro degli esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, ha affermato sulla stampa tedesca che l’uscita della Gran Bretgna dall’Unione Europea potrebbe causare manovre simili da parte di altri paesi, e in particolare ha fatto riferimento alla Polonia e ai paesi dell’est Europa. Asselborn ha riferito che il premier inglese David Cameron e il leader del partito conservatore Jaroslaw Kaczynski “Sembrano avere la stessa agenda nelle loro posizioni critiche verso l’UE”.

Kaczynski, pur non essendo attualmente alla guida del governo, è probabilmente il politico più influente e potente del paese. Secondo Asselborn fra i due politici ci sarebbe un accordo segreto per portare avanti politiche simili per diminuire l’influenza dell’UE sui propri paesi. Di recente, infatti, la Polonia ha manifestato posizioni molto dure nell’adozione delle leggi europee, in materia di diritti civili, energia ed ambiente.

E in Italia? Anche da noi se dovesse verificarsi l’ipotesi Brexit, non tarderebbero ad arrivare le proposte di referendum da parte di Matteo Salvini e della Lega, che solo pochi giorni fa ha paragonato l’UE a Hitler: “L’Unione Europea oggi con la finanza fa gli stessi danni che facevano i carrarmati e le bombe 70 anni fa”, ha detto Salvini. E anche se le sue sembrano le solite sparate, sarà meglio non prenderle sottogamba. Perché gli europei e gli italiani si sono impoveriti, e basta poco per vedere nell’Europa la causa di tutti i mali anche perché questa – lo insegna la vincenda del bailout in Grecia un anno fa – ha fatto tutto cioè che era possibile per attirare l’odio dei cittadini.

E ora ne paga il prezzo. In pochi mesi, quella che parte come una proposta assurda sostenuta da i partiti estremisti può diventare realtà, come insegna il caso della Gran Bretagna.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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