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Reddito di cittadinanza, le ultime notizie

“Vi spiego perché il reddito di cittadinanza non può sconfiggere la povertà”

Cosa non va nel reddito di cittadinanza e perché l’idea di un sussidio per i cittadini rischia di trasformarsi in un boomerang. L’intervista di Fanpage.it all’economista Francesco Daveri, docente dell’Università Bocconi di Milano.
A cura di Annalisa Cangemi
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Per il reddito di cittadinanza, il sussidio che dovrebbe entrare a regime da aprile 2019, il governo Lega-M5S stanzierà 10 miliardi , secondo quanto è emerso dalla nota d'aggiornamento al Def. Le regole di applicazione di questa misura sono state scritte con l'obiettivo di contrastare la povertà. Ma il meccanismo funzionerà? Lo abbiamo chiesto all'economista e docente dell'Università Bocconi Francesco Daveri, che ci ha aiutato a mettere in evidenza alcuni punti critici che mettono in dubbio l'efficacia del reddito di cittadinanza.

Il sussidio deve essere speso per intero

Uno dei vincoli per poter usufruire del reddito di cittadinanza è l'obbligo di spendere l'intera somma, 780 euro, attraverso una card anonima, su cui verranno caricati i soldi ogni mese. "Per acquistare qualsiasi bene, da un computer a un'automobile, ognuno di noi sa che dovrà mettere da parte qualcosa, sottraendo soldi alle spese quotidiane. Per passare da una condizione di povertà ad una di maggiore benessere bisogna che una persona meno abbiente riesca a mettere da parte del denaro, così da riuscire a finanziare i propri consumi e condurre una vita dignitosa. Poi, precondizione necessaria, è che possa risparmiare. Se vengono dati dei redditi, o un'integrazione, obbligando però i poveri a consumarli tutti, si vuole generare non una situazione di benessere, ma una dipendenza dallo Stato. Quindi in altre parole si crea un serbatoio di voti permanente, di persone che avranno bisogno perennemente di ricevere soldi: significa creare una trappola di povertà", questa è l'obiezione di Daveri.

Niente spese ‘immorali'

Il M5S ha limitato l'utilizzo di queste risorse agli acquisti dei beni di prima necessità. Per spese ‘immorali' il ministro Luigi Di Maio intende quelle spese che arrecano danni all'individuo, come il gioco d'azzardo o le sostanze nocive alla salute. "Lo Stato che vuole intromettersi in ciò che gli individui fanno con il loro reddito è uno Stato che crede di essere ‘etico', ma in realtà molto probabilmente finisce per essere uno Stato di polizia, o peggio uno Stato intrusivo, come il Grande Fratello, che vorremmo che si trovasse solo in televisione. Ciò che compete allo Stato è stabilire le regole di funzionamento dell'economia, prelevare le tasse che servono per offrire i servizi pubblici, per garantire l'ordine e la sicurezza, per assistere i più bisognosi. Ma lo deve fare senza perpetuare la situazione di povertà: insegnare a pescare e non dare semplicemente il pesce. E qui torniamo al primo punto. Ma se il timore è che con il denaro in più possa aumentare il numero di persone dedite al gioco d'azzardo si trovi allora il lavoro per queste persone, non si distribuisca un reddito. La strada maestra è questa: se le persone hanno la possibilità di andare a lavorare non passeranno il loro tempo a giocare con le slot machine", ci spiega Daveri.

E questo vale anche per la pensione di cittadinanza? "Certo, ogni reddito distribuito non correlato con un'attività lavorativa o non derivante da soldi messi da parte con i contributi sociali, di fatto si presta a questo genere di critiche. Anche la pensione di cittadinanza dovrebbe essere vincolata nel suo utilizzo al fatto che non venga destinata al consumo di beni immorali. E invece in questo caso non si parla di un'indicazione simile. Sembra quasi che si voglia far passare l'idea bizzarra che gli anziani sono tutti morali mentre i giovani sono tutti immorali. Nei bar si vedono anche tanti anziani con il vizio del gioco".

Si possono acquistare solo prodotti italiani

Il reddito di cittadinanza, nella visione di Di Maio, permetterà di iniettare nell'economia reale 10 miliardi di euro per far ripartire i consumi, specificando però che l'intera somma andrà spesa "nei negozi italiani, sul suolo italiano". È un'affermazione di buon senso? "L'idea di controllare che un prodotto sia italiano è molto meno facile di quanto si pensi. In pratica stabilire quanto ci sia di italiano di un bene che viene commercializzato non è così semplice. Lo si può fare appunto con uno Stato di polizia, ma con il rischio di incorrere in abusi ed errori di valutazione. Ci sono delle regole europee che stabiliscono cosa sia il ‘made in Italy' cosa sia il ‘made in Europe' o il ‘made in China'. Occorre per esempio che ci sia un certo numero di stadi di produzione svolti in un Paese. Bisognerebbe fare una lista dei prodotti, non solo per quelli ‘morali', ma anche per quelli italiani, e poi un'altra lista con i prodotti ‘immorali' ma italiani, e ancora per quelli ‘immorali' ma non italiani. A me sembra un delirio da Stato giacobino, non certo il miglior mondo che gli italiani potevano aspettarsi. Tra l'altro proprio i consumi delle persone meno abbienti riguardano in modo più intensivo i consumi d'importazione. Perché per esempio il ‘made in Italy' sappiamo che è più forte nel settore del lusso accessibile, o nel lusso anche non accessibile alla maggior parte della gente. Il fiore all'occhiello delle nostre produzioni è appannaggio dei ricchi. Questo ovviamente non ha nessun legame con il reddito di cittadinanza dato alle persone povere, che molto probabilmente finiranno per acquistare prodotti che sono importati, dai telefonini, agli oggetti Ikea, ai cibi nei supermercati. Ma vietare questi acquisti è un controsenso: se obbligo a comprare prodotti italiani che non sono competitivi con quelli stranieri, con una mano sto dando i soldi ai cittadini, e poi li obbligo all'acquisto di beni che hanno prezzi più alti. Detto in altre parole favorisco i produttori a scapito dei consumatori, che dovrebbero essere i destinatari di questa misura. È un altro esempio di come uno Stato che si definisce ‘etico' crei più danni che benefici". 

I centri per l'impiego favoriranno l'incontro tra domanda e offerta

Elemento cardine della proposta del M5S è la riforma dei centri per l'impiego: lo stanziamento previsto è di un miliardo per rinnovare 552 centri, che serviranno per proporre al cittadino tre offerte di impiego (dopo il rifiuto di tre offerte si perde il diritto a percepire l'aiuto economico). Al momento i dati ci dicono che solo il 3,4% delle persone che si rivolgono a un centro per l’impiego trova lavoro. Cosa accadrà in alcune zone depresse, per esempio al Sud? "Facciamo un esempio: se nel Meridione ci sono troppi laureati in giurisprudenza rispetto alle attività produttive che servirebbero per dare lavoro agli avvocati, nessun centro per l'impiego potrebbe offrir loro un'occupazione nelle località in cui vivono. Eppure i laureati dovrebbero avere più chance nel mercato del lavoro. Ma se c'è un problema di mancato accordo tra le competenze che si formano localmente e le attività produttive disponibili, un centro per l'impiego può solo suggerire di andare a cercare lavoro da un'altra parte. Ma questo è evidente anche senza dare il reddito di cittadinanza alle persone, con soldi pubblici, in luoghi dove il lavoro semplicemente non c'è". 

I proprietari di casa non hanno diritto a 780 euro mensili

Nella logica del M5S l'assegno per chi possiede già una casa verrà decurtato dalla rendita dell'immobile. Ma, secondo alcune stime, quasi il 50% delle persone in stato di povertà ha una casa di proprietà. È dunque una scelta giusta? "Magari un cittadino ha una casa di proprietà, perché l'ha ereditata da una ricca zia, ma il suo reddito può essere comunque di 250 euro al mese. Se con questa misura si vogliono raggiungere i poveri questo criterio non dovrebbe essere dirimente. Un proprietario di casa può anche essere comunque un destinatario del reddito di cittadinanza, per questo ci sono degli indicatori riassuntivi del benessere di una persona e di una famiglia. Certamente usare l'Isee è corretto. Non estrapolerei fra tutti il criterio della casa di proprietà". 

I destinatari saranno 6 milioni di persone

Al momento il governo non ha fornito il numero preciso dei beneficiari: si parla però di una platea di circa 6,5 milioni di persone. "La platea rischia di essere più ampia. Con il reddito di cittadinanza ci sarebbe una corsa al lavoro nero, perché tutti cercheranno di figurare tra i possibili destinatari di questa misura. E non vedo come lo Stato giacobino di cui parlavamo possa arrestare questa marea. E poi chiamarlo reddito di ‘cittadinanza' è anche improprio, perché il sussidio non è rivolto, nei fatti, esclusivamente ai cittadini italiani. È indirizzato anche agli stranieri residenti in Italia da alcuni anni, a meno che non si vogliano discriminare. Ma questo sarebbe incostituzionale". 

La bocciatura dell'agenzia di rating Fitch

Dopo la stroncatura dell'agenzia di rating Fitch, che ha sottolineato i rischi "considerevoli per i target, specie dopo il 2019", la lista dei moniti dai mercati e dalle istituzioni internazionali sui dettagli della nostra politica di bilancio, contenuti nel Def, si allunga. Dopo i rilievi di Bankitalia e gli appelli dei commissari Ue, farebbero bene Di Maio e Salvini a riconsiderare l'impostazione della manovra, che sfiora i 40 miliardi? "Il deficit pubblico che hanno messo in piedi nel 2019 è poco saggio perché è un anno in cui saliranno i tassi d'interesse, abbiamo già visto che le borse non stanno andando bene. E se salgono i tassi d'interesse per l'America sale anche il costo del debito pubblico per l'Italia, quindi indebitarsi di più è una scelta stupida da parte dello Stato. E poi c'è l'aspetto della qualità del deficit pubblico: nessuno si straccia le vesti per un po' più di deficit pubblico, a patto che questo deficit serva poi a finanziare delle spese straordinarie, che possono essere motivate. Per esempio sull'idea di rifare il ponte di Genova in deficit non credo che la Commissione Ue avrebbe qualcosa da ridire. Quello che fa saltare sulla sedia gli osservatori internazionali è mettere in piedi un programma di trasferimenti di reddito permanenti che scoraggiano la ricerca di lavoro nel settore formale e incoraggiano il lavoro nero. Un programma finanziato in deficit in questo modo è una scelta suicida, perché riduce anche la possibilità di raccogliere entrate fiscali anche per il futuro, perché quelle provengono dal lavoro formale. Ed è questa la ragione delle critiche. Il fatto che l'esecutivo sia sordo spero dipenda soltanto dalla volontà dei nostri governanti di individuare un capro espiatorio nell'Ue o negli speculatori per la campagna elettorale delle europee".

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