Renata Molho, biografa di Giorgio Armani: “Era timido ma si è sforzato tutta la vita di non esserlo”

Oggi è stata allestita la camera ardente di Giorgio Armani, morto giovedì 4 settembre all'età di 91 anni. In tanti sono accorsi a porgergli un ultimo saluto: amici, colleghi, familiari, dipendenti, persone comuni giunte per omaggiare il grande stilista. Erano presenti, all'apertura, diversi volti noti, a lui legati da rapporti personali e professionali: da Donatella Versace a Giuseppe Sala sindaco di Milano. Tutti lo hanno definito rigoroso, preciso, attento ai dettagli, innamorato del suo lavoro. Ai microfoni di Fanpage.it, invece, ha aperto il cassetto dei ricordi Renata Molho, autrice dell'autobiografia Essere Armani. Anche lei lo ha ricordato come un instancabile lavoratore e come un uomo empatico e discreto.
Ha un ricordo personale legato allo stilista?
Ne ho diversi, perché lo conosco da tanto tempo, c'era un rapporto di rispetto e di stima. Ricordo che nel 1991 lavoravo all'inserto Cultura de Il Sole 24 Ore come critica della moda. Sono sempre stata armaniana, mi piaceva la sua moda, quindi ho cominciato a scrivere di lui. Poi ho iniziato a incontrarlo per ragioni di lavoro a conferenza stampa o cene, così lentamente si è consolidato un rapporto di fiducia e stima. Io lo vedevo come una persona, oltre il ruolo.
Si ricorda un aneddoto in particolare che vi lega?
Una cosa che mi ha fatto molto piacere è successa quando è uscito il mio libro. Mi ha invitato a casa sua e mi ha detto: "E adesso io cosa scrivo se voglio fare un libro?". Un'altra volta eravamo al Convivio, una manifestazione che adesso non si fa da un po' di anni, per sostenere la lotta contro l'AIDS. Eravamo davanti a una vetrata e pioveva fortissimo. Dovevamo attraversare un cortile per andare a cena nel salone di fronte e io come una stupida gli dissi: "Giorgio, ti trovo un ombrello?". Lui sorrise e in quel momento arrivò la sua limousine a prenderlo e mi diede un passaggio per attraversare il corridoio e arrivare nel padiglione di fronte.
Quando è stata l'ultima volta che vi siete incontrati?
L'ultima volta che l'ho visto è stato a maggio, all'inaugurazione della mostra al Silos. Tra l'altro è stato molto carino, perché sono andata a salutarlo e lui ha chiesto una foto con me. È l'ultimo ricordo che ho di lui. Dopo non l'ho più visto. Gli ho detto "Spero di vederti presto per un caffè" e lui mi ha risposto "Proviamoci". E basta.
Lei scavando così tanto nella sua vita che che idea si è fatta di lui, oltre la figura di Re Giorgio?
Mi ha sempre ispirato un senso di solitudine e di fragilità, quello di quei personaggi che diventano molto grandi e il personaggio diventa quasi più grande della persona. Intravedevo questa specie di solitudine e mi interessava la sua parte umana, che derivava dal fatto di aver avuto degli esordi e un'infanzia abbastanza faticosi. E credo che questo tratto di umanità gli sia sempre rimasto, magari un po' coperto dal ruolo del grande capo, del leader. Era un lavoratore, uno stacanovista pazzesco. Lo vedevi in via Manzoni a mettere l'ultimo spillo sul manichino nella vetrina. Era dietro a tutto. Lui seguiva qualsiasi cosa dalla più piccola alla più grande. Tutto il suo lavoro era come un progetto di un grande architetto: tutto coerente, ma non in modo ottuso.
Quando ha scritto la biografia si è confrontata con lui?
All'inizio io volevo farla con lui, scriverla con lui, ma mi disse di no: non aveva voglia di parlare di sé, di esporsi. Io ho insistito e lui è stato molto carino, molto generoso: mi ha aperto di archivi che allora erano ancora cartacei! Stavo in Borgonuovo nelle cantine a spulciare tra le carte. Avevo tutto lo staff a disposizione, potevo chiedere materiale, mi ha dato un sacco di contatti. Poi mi ha aiutato tantissimo la sorella Rosanna. Facendo domande ai vari collaboratori, tutti ne parlavano veramente con rispetto, con una specie di innamoramento. Il titolo Essere Armani mi è venuto perché mi interessava l'esistenza di Armani uomo innanzitutto, rispettando anche le sue piccole zone da non illuminare. Anche le modelle lo adoravano.
Che rapporto aveva con le donne Giorgio Armani?
Lui aveva un grandissimo rispetto per le donne: i suoi idoli erano la madre e la sorella. Nella sua moda non c'è nulla che abbia mai oltraggiato il corpo della donna. Anche la sua famosa giacca destrutturata: dava autorevolezza alla donna, le toglieva frivolezza, senza volgarità. Per lui la femminilità non era nello spacco, nella scollatura. Era una femminilità intelligente. E coi tessuti fluidi ha dato femminilità anche all'uomo. Spesso gli abiti dei grandi stilisti sono scomodissimi, invece nelle sue creazioni e nel suo lavoro non c'è mai il senso di scomodità. Il suo era questo linguaggio pacato, ma non noioso, puntando sull'identità, cambiano punto di vista ma rimanendo fedele a se stesso.
Negli ultimi anni era un po' cambiato?
Sono felice che negli ultimi tempi col Privé abbia espresso una parte più eccentrica, si sia come un po' liberato, perché in realtà lui aveva anche questa seconda anima un po' eccentrica e aveva anche un senso dell'umorismo. Un giorno, tempo fa, parlavamo del fatto che non si era occupato abbastanza di se stesso. Aveva lavorato tanto, ma forse aveva lavorato fin troppo. Secondo me cominciava a rendersi conto che avrebbe potuto lasciarsi un po' più andare.
Si ricorda una sua frase che le è rimasta particolarmente impressa?
Una volta a telefono gli dissi "Io sono timida" e lui mi rispose "No, devi imparare a non esserlo". È una frase cosa che mi è rimasta molto impressa. Era come quando tu ti riconosci in qualcuno e gli dici "No, non fare questo errore". Credo che lui fosse in realtà molto timido, però si è sforzato tutta la vita di non esserlo.