Oltre il ghosting, submarining: la tendenza tossica di chi sparisce e poi ricompare per sconvolgerti

Pensavamo che fosse il ghosting, il peggio che ci potesse capitare. E in effetti a nessuno piace quando del tutto improvvisamente, senza alcuna avvisaglia, quando le cose sembravano anzi procedere bene, la persona che stavi frequentando pensa bene di sparire. E lo fa così, di punto in bianco, senza dare spiegazioni. Da un giorno all'altro scompare dalla tua vita, senza un messaggio di spiegazioni, senza telefonarti per dirti che da quel momento non vi vedrete più. Inevitabilmente, chi subisce il ghosting resta profondamente deluso e ferito, ma la sensazione peggiore è quella di ritrovarsi in un vero e proprio limbo: senza una motivazione è difficile mettere un punto definitivo, farsene una ragione e andare avanti. Ecco perché chi fa ghosting è profondamente vigliacco ed egoista: perché scarica le proprie responsabilità nel vuoto, dandosi la possibilità di procedere con facilità, mettendo invece l'altro in condizione subalterna, in una spirale di "perché?" senza fine e senza risoluzione. E i "non detti" sono difficili da reggere. Ma oltre al ghosting c'è un'altra tendenza tossica molto gettonata, forse anche peggiore: ne rappresenta quasi l'evoluzione, negativa ovviamente. Si chiama submarining.
Il neologismo è da attribuire a un articolo della scrittrice britannica Rebecca Reid. È un comportamento tossico che non riguarda solo le relazioni sentimentali e le frequentazioni: avviene anche tra amici, quando quella persona con cui avevi condiviso un pezzo di vita poi diventa un estraneo e torna sui suoi passi quando gli va, presentandosi alla tua porta. A differenza del fantasma, infatti, che sparisce e basta, il sottomarino di turno ha una trovata ancora più brillante: sparisce, ma solo momentaneamente, quando evidentemente non gli fai comodo o ha trovato di meglio. Si inabissa nelle oscurità e nelle profondità dell'oceano facendo perdere le proprie tracce, per poi tornare a galla quando l'altro meno se lo aspetta, quando magari aveva messo un punto ed era riuscito ad andare avanti.
A quel punto, verrebbe da dire, bisognerebbe far trovare la porta ben chiusa. Invece la tendenza a cui non si riesce mai a resistere è quella di aprirla, la porta, per riaccogliere quella persona. Di base a spingere verso questa soluzione è il bisogno di risposte, ma più verosimilmente è la solitudine. È quella che porta a non tagliare fuori il sottomarino, che porta a dargli una possibilità, ritrovandosi in un totale subbuglio emotivo. Il sottomarino, invece, non conosce scompiglio: è calmo e placido nel suo riaffiorare a galla, senza sensi di colpa. Gli basta un messaggio su WhatsApp, una emoji a una Instagram Story: e il gioco è fatto. Basta poco per attaccare bottone, un "Hey" è sufficiente a generare un terremoto emozionale.
L'unico modo per riconoscere questa dinamica tossica è lavorare su di sé così da non subire le manipolazioni altrui: servono consapevolezza e amor proprio. Raramente il sottomarino ha una motivazione plausibile per il suo allontanamento: nessun problema familiare, nessun problema lavorativo. Non lo fa per pentimento o per reale interesse: lo fa per noia, per il gusto di manipolare l'altro, perché ha bisogno di qualcuno con cui parlare, perché deve nutrire il proprio ego. È un gioco di potere bello e buono. Purtroppo sono in tanti a non affrontare le relazioni con rispetto e onestà, scoprendo le carte in tavola e assumendosi le responsabilità di una scelta. Ma ognuno in cuor suo sa cosa vuole e cosa merita: il bivio è nuotare col sottomarino in attesa che si inabissi di nuovo o girare al largo da questa spirale emotivamente estenuante, destinata a ripetersi.