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Perché trattiamo male le persone che amiamo, lo psicologo “Al sicuro emergono parti emotive più vulnerabili”

Spesso sfoghiamo lo stress quotidiano sulle persone che amiamo, senza volerlo. Uno psicologo spiega a Fanpage.it perché si verifica questo fenomeno e come prevenirlo.
Intervista a Dott. Antonio Catarinella
Psicologo psicoterapeuta specialista in psicologia clinica e consulente delle identità sessuali.
A cura di Elisa Capitani
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Nelle relazioni più intime accade spesso qualcosa difficile da accettare e ancor più da spiegare: proprio con le persone che amiamo di più e contano di più per noi ci capita di essere meno gentili, più impulsivi, a volte addirittura aggressivi. È un paradosso che attraversa famiglie, amicizie e coppie, soprattutto nei periodi di forte stress, quando la tensione accumulata durante la giornata trova sfogo nel luogo più sicuro che abbiamo. Per capire perché si verifica questo fenomeno, cosa succede nella mente quando riversiamo frustrazione su chi ci sta accanto, e come riconoscere il confine tra un momento di fatica e una vera dinamica tossica, abbiamo parlato con il dottor Antonio Catarinella, psicologo psicoterapeuta specialista in psicologia clinica e consulente delle identità sessuali.

Dottore, ma perché tendiamo a sfogare stress, ansia e frustrazione proprio con le persone a cui siamo più legati?

Tengo sempre a premettere che queste dinamiche vanno lette nella singolarità di ogni persona e di ogni relazione. In generale, però, nelle relazioni più intime avviene una sorta di abbassamento delle difese: partner, familiari e amici diventano spazi sicuri in cui togliere la maschera. In psicologia relazionale parliamo di dumping emotivo, che descrive il bisogno di aprirsi completamente in un legame stabile e accogliente. Proprio perché ci sentiamo al sicuro, emergono parti emotive più vulnerabili e meno regolate.

Quando questo rifugio si trasforma in un luogo dove sfogare le tensioni, cosa succede dal punto di vista psicologico?

L’espressione emotiva è una risorsa enorme, ma può diventare disfunzionale quando viene data per scontata. Alcune persone perdono progressivamente la capacità di regolare le emozioni proprio nei contesti in cui si sentono più comprese, arrivando a forme impulsive o aggressive. È come se il legame venisse percepito come un contenitore negativo su cui riversare tutto. Naturalmente non è sostenibile: anche le relazioni sicure hanno bisogno di una gestione consapevole delle vulnerabilità, non di atti rabbiosi.

Quanto incidono le esperienze familiari dell’infanzia su questo modo di reagire?

Incidono moltissimo, perché le prime esperienze di accudimento formano i cosiddetti modelli operativi interni, cioè rappresentazioni mentali che ci guidano nel modo di vivere amore, conflitto, vicinanza emotiva e dipendenza. Ambienti svalutanti o imprevedibili possono portare da adulti a replicare modalità di iperattivazione emotiva o rifiuto. Al contrario, un’infanzia basata su legami sicuri ed empatici diventa un bagaglio protettivo. Le competenze emotive nate in quei primi anni vengono poi rimodulate nella vita adulta.

Esiste un modo per distinguere uno sfogo dovuto allo stress da una vera dinamica tossica?

Possiamo farlo osservando frequenza, intenzionalità e simmetria del potere nella relazione. Un episodio isolato, legato a un momento di forte stress e seguito da consapevolezza e riparazione, è parte della fisiologia delle relazioni umane. Una dinamica tossica, invece, si caratterizza per ripetitività, mancanza di consapevolezza e colpevolizzazione dell’altro, dovuta a meccanismi proiettivi. La principale differenza tra le due dinamiche risiede nell’incapacità di assumersi la responsabilità di ciò che si dice o si fa.

Qual è il ruolo dell’autostima e della regolazione emotiva in questo contesto?

Sono davvero due pilastri delle relazioni sane. Una persona con un senso di valore stabile e una buona regolazione emotiva è meno portata a percepire l’altro come una minaccia, a sentirsi giudicata o a reagire in modo eccessivo. In questi casi, il conflitto diventa dialogo e la frustrazione si trasforma in confronto costruttivo. Quando queste capacità mancano, la relazione diventa il luogo in cui si attivano tutte le fragilità, con effetti negativi sia sull’altro sia su se stessi.

La comunicazione può prevenire tensioni ed episodi più gravi?

Direi che difficoltà comunicative sono presenti nella maggioranza delle situazioni che arrivano da un professionista. La comunicazione non è soltanto dire qualcosa, ma farlo con un linguaggio verbale, non verbale ed emotivo che sia chiaro, regolato e responsabile, volto a rendere la situazione più chiara senza ferire l'altro. Imparare a dire come stiamo, se siamo stanchi, irritati o sopraffatti, evita che queste emozioni si accumulino e si spostino sulla relazione. La parola non elimina la fatica, ma la incanala evitando che diventi ostilità.

Come possiamo riconoscere, in mancanza di comunicazione, che stiamo proiettando sugli altri le nostre tensioni?

La consapevolezza dei segnali di tensione e di disregolazione emotiva è fondamentale. Quando ci rendiamo conto che ciò che proviamo inizia a tradursi in comportamenti aggressivi o impulsivi, occorre fermarsi e chiedersi che cosa sta succedendo, da dove provengono quelle reazioni e come possiamo intervenire. Questo passaggio permette di evitare che il disagio interno diventi agito verso l’altro.

Quali strategie possono aiutare a essere più gentili e consapevoli con le persone che amiamo?

In un percorso psicologico possono essere usate molte strategie. La psicoeducazione emotiva è spesso molto utile: comprendere come funzioniamo, quali sono i nessi tra emozioni e comportamenti e quali sono i segnali a cui prestare attenzione. Quando ci sono forti attivazioni fisiologiche, tecniche di regolazione come mindfulness e rilassamento aiutano a riportare la mente a uno stato di calma. È importante anche conoscere la comunicazione non violenta, distinguendo aggressività, passività e assertività. E non va dimenticata la cura di sé: qualità del sonno, alimentazione, stress lavorativo e ritmi quotidiani influiscono profondamente sulla nostra capacità di gestire le emozioni.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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