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Paolo Canè: “C’è un mio record che Sinner non batterà. A scuola tennis vedo genitori imbarazzanti”

Paolo Cané ai microfoni di Fanpage ha parlato del nostro tennis, soffermandosi su Sinner, Nardi e gli altri azzurri, e sulla situazione del movimento a livello giovanile. Tutto con la soddisfazione enorme di aver conquistato una medaglia olimpica.
A cura di Marco Beltrami
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Quando si parla di Paolo Cané si pensa ad un giocatore di talento, capace come pochi di entusiasmare il pubblico. L'ex giocatore, che in carriera ha conquistato tre titoli ATP raggiungendo il best ranking del 26° posto e togliendosi la soddisfazione di battere campioni del calibro di Connors, Wilander, Edberg e altri, oggi è uno stimato commentatore per la Rai e per Eurosport.

Bandiera della nostra squadra di Coppa Davis, ha ottenuto un traguardo storico per l'Italia del tennis conquistando una medaglia di bronzo ai giochi olimpici di Los Angeles nel 1984, quando questo sport era ancora dimostrativo. Mai banale Paolo Cané, ha parlato a Fanpage.it, del momento del tennis italiano soffermandosi su Sinner, Nardi, Musetti e gli altri tennisti azzurri. Un'occasione anche per tornare sulla sua esperienza da maestro e sui valori inculcati ai suoi giovani talenti. Tutto alla sua maniera, andando diretto all'obiettivo senza giri di parole. L'intervista infatti è iniziata al contrario, con una domanda di Canè: "Mi devi chiedere di Sinner?".

Paolo, ti stupisco: che ne diresti di partire dai giovani più interessanti, vedi Nardi?
"Bravo, perché vince e c’è il famoso treno che passa. Nardi è un’altra realtà che ha bisogno di tempo. Nel suo gioco rivedo molto Fognini: talentuoso, molto veloce, rapido con i piedi, buonissimo con il rovescio, con le diagonali e poi sta bene in campo. A Indian Wells per esempio, quando ha battuto Djokovic, ha sfruttato bene il Lucky loser delle qualificazioni, ma in questi casi alla fine è solo questione di tempo".

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Insomma, siamo messi bene a livello di giovani di prospettiva.
"Ma tanto anche se non gioca bene a 20 anni, come vogliamo sempre in Italia dove siamo bravi a bruciare le tappe, e gioca bene a 23 anni, che problema c’è? Anzi io darei un consiglio, se deve venir fuori una nuova promessa o un altro fenomeno come Sinner, aspettate due tre anni, così non li bruciamo tutti insieme (ride, ndr). Ogni due tre anni che venga fuori uno che vale più magari di due giocatori che valgono i primi 15-20 del mondo, così ci tiene alto il livello e continua a far parlare tutti di questo bellissimo sport facendo appassionare i ragazzi delle scuole tennis e i tifosi".

Dalle tue parole si evince che il contesto non è dei migliori in Italia, e spesso non aiuta. Lo stesso Sinner ha sottolineato anche l'importanza del perdere.
"Su quello non c'è più da meravigliarsi, i tifosi italiani sono così. Quei tifosi ignoranti sono così, c'è invece gente che anche nella sconfitta sa come comportarsi. Anche perché Sinner poi è così. Lui è ‘don Sinner', come lo chiamo io. È arrivato sulla terra e incomincia ad educare tutti gli sportivi, i tennisti. Sa parlare bene e quindi anche quando perde non puoi dirgli niente, perché è un ragazzo talmente trasparente, talmente pulito e semplice nelle sue dichiarazioni… Lui vuole solo giocare a tennis. Ripeto: non gli si può dire niente. Risultati o non risultati, lui vuole fare il suo percorso fino a quando il fisico e la testa glielo permetteranno, perché a lui piace giocare a tennis. Quindi che lui sia numero 1, numero 2 o numero 100 fa e farà sempre le stesse cose. Questo è da apprezzare".

Anche tu pensi che Sinner sia quasi un alieno in campo e fuori? A Montecarlo lo abbiamo visto vittima di un'ingiustizia.
"Lo dice lui stesso: adesso mi ascoltano perché faccio risultati, se fossi il 300 al mondo e parlassi così mi darebbero del cogli**e (ride, ndr). Sono molto diretto. Non ci sono molte strade da seguire, c’è invece qualcosa di importante che è il lavoro che stanno facendo questi ragazzi. Anche con Musetti: gli rompono tutti le palle, è un momento difficile, ma è nei primi 30 al mondo. Gli stessi Sonego, Bolelli e Vavassori con i risultati in doppio. Abbiamo poi Paolini, Bronzetti. Cioè ragazzi, il tennis italiano: dopo il calcio ora si parla solo di tennis, ora anche in TV ogni volta che giri c’è un torneo".

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Questo momento d'oro per il nostro tennis aiuterà anche l'arrivo di altre giovani leve, ma non è così semplice. La tua esperienza da maestro cosa ci dice in merito?
"Secondo me tra Sinner, Nardi, Arnaldi, Berrettini, e così via penso che non ci saranno più dei passaggi a vuoto nei prossimi 20-30 anni. Anche se io non ci sarò più perché ho una certa età, e saranno i miei figli a seguire il tennis. Non capiteranno più quei buchi di anni senza giocatori top, avremo sempre qualcuno. Si è capito che ci vuole un grande sacrificio, i talenti ce li abbiamo, e quei ragazzi della nuova generazione che hanno la testa a posto arrivano. Questo anche se la maggior parte dei ragazzi però non vuole fare fatica. Su 10, nove sono dei caproni, ma il decimo che vuole fare sacrifici può diventare un campione. Lo vedo anche nella mia scuola tennis, molti non hanno voglia tra telefonini e distrazioni, mentre chi ha la testa poi fa la differenza".

Il talento dunque non basta, e tu ne sai qualcosa. Quanto lavoro c'è dietro le quinte e quanto sono speciali Sinner e compagnia?
"C’è dietro grandissimo lavoro e grandissimi sacrifici, oltre al fatto che bisogna saper giocare a tennis. Non vai da nessuna parte, ci vuole la testa, ma il sacrificio ti fa tenere duro per martellare quotidianamente e fare fatica. È importante nei momenti decisivi. Vedi Sinner e gli altri sono freddi, cinici, attenti. Il fisico poi… devi correre. Un Einstein che non corre fa poco".

Parlando con gli addetti ai lavori, molti si sono mostrati preoccupati dell'eccessiva e quasi maniacale attenzione ai risultati anche nelle scuole tennis. Tu che ne pensi?
"Per quanto riguarda i miei ragazzi, io rispetto molto la crescita mentale e fisica. A molti bambini nei tornei under 8, under 12, se vedo che non sono maturi e sanno affrontare una competizione con incontri amichevoli più che tornei, non do la delusione della partita. Perché sono piccoli. Si devono formare e abituarsi? Sì, quando reputo che siano pronti per la sconfitta: non metto nella gabbia dei leoni un bambino di 9 anni, per fare cosa? Quando vedo che è maturo e si allena anche a 13, 14 anni allora… qual è il problema? Tanto se uno è buono viene fuori".

Poi magari arrivano dei fenomeni, in quel caso che succede? Certe volte bisogna tenere a freno anche i genitori?
"Se poi uno brucia le tappe a livello fisico e mentale ed è già pronto allora puoi anticipare. Vedo qualche torneo in giro e mi fanno tenerezza, ma vedo anche genitori imbarazzanti, che rompono le palle. Quando vedo lo sguardo del bambino che cerca quello dei genitori ad ogni punto, che se fai bene sei campione del mondo e se perdi sei un disastro, gli crei un trauma incredibile. I genitori non possono sapere. In molti, anche nella mia scuola, li perdo per questo. Ma perché devo dare questo stress a ragazzi che fino a tre anni prima bevevano il latte della mamma. Lo vedo con mio figlio, che gioca bene una o due volte a settimana. La cosa pazzesca è che lui si allena bene, ma poi quando torna a casa mi guarda i Puffi. C’è anche il momento per quello, a quell’età".

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Paolo torniamo alla tua carriera. Quanto è difficile restare a lungo nel giro che conta? È cambiato qualcosa oggi?
"Adesso è più facile restare sulla cresta dell’onda perché ci sono tanti tornei. Ai tempi miei ogni primo turno andavi dietro di 10-15 posti, adesso non è così. Devi guardare dal 1 gennaio al 31 dicembre, non settimanalmente. Bisogna lavorare nell’arco dell’anno, con una buona programmazione, e puoi così mantenere una buona classifica. Sfruttare ogni occasione: quando capita il filone giusto e lo sfrutti puoi restare a posto per un anno".

Ma ti piacerebbe giocare ad alti livelli nel tennis e nel circuito di oggi?
"Adesso c’è una cosa importante, tutti hanno capito che quotidianamente devi farti il culo e quindi non c’è più la possibilità di buttar via il torneo e non prepararsi. L’alimentazione è seguitissima, c’è una buonissima fisioterapia e vieni seguito anche da mental coach. Sei una Ferrari, curata nei minimi dettagli. Forse è anche esasperato il tutto, però adesso funziona così. Ai miei tempi non c’era, io ero seguito un po’ così alla ‘velomose bene', e comunque mi programmavo anche io. Col senno di poi, tornassi indietro curerei più determinate cose, ma non c’erano ai miei tempi".

Certo che è cambiato il tennis in pochi anni, non credi?
"È cambiato il tennis perché sono cambiati i tempi. Sono cambiati i materiali, i fisici, vedi sempre le stesse giocate: grandissimi ritmi, grandissimi servitori. Il servizio è alla base di tutto, le racchette hanno aiutato tantissimo. La fisicità e la preparazione dei giocatori è cambiata. Facile dire ‘ai tempi miei giocavano meglio’. Sì, ai tempi miei giocavano meglio. I primi 20 giocatori al mondo, tolti Federer, Nadal, Djokovic e Murray: beh, gli altri giocavano meglio".

Poi all'epoca non c'erano i social, oggi invece c'è anche questo aspetto. C'è più pressione ora sui tennisti?
"Quella è una cosa che mi fa sorridere. Vedo che quando qualcuno posta delle cose e viene criticato poi ci rimane male. Basta non postarlo e sai cosa devi fare. Le critiche ci sono sempre state ma non c’era questa evoluzione dei social di postare ogni singolo passo che fa uno. Si aspetta sempre che metta il piede nella buca per criticarlo. Son ragazzi intelligenti. Due anni fa feci un articolo e dissi ‘non rompete le palle a Musetti, Sinner, Berrettini e compagnia bella’. Se dovete criticare, fatelo con me che sono vecchio e ho le spalle larghe. Sono ragazzi che ci provano quotidianamente, poi certo Sinner ha bruciato delle tappe, ma lui stesso intelligentemente dice che non è che può vincere sempre. Arriverà il momento in cui perderà, come successo a Montecarlo, ma continuerà a seguire il suo percorso. Devi pensare anche che quelli che criticano sono zero, ed è strano farsi condizionare da questi".

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Già, perché poi i riflettori si spengono e cosa succede dopo?
"Sinner si sta gestendo bene già adesso, non si può sapere cosa farà da grande. Intanto facciamolo giocare a tennis, quando sarà più grande avrà altri interessi. Quando metterà su i baffi e la barba e qualche capello bianco, magari penserà a diventare padre o aiutare i giovani con la sua esperienza. O rimanere sulle montagne come Heidi, senza vedere nessuno che gli rompe le palle. Ognuno sceglie cosa fare della propria vita, mi sembra un ragazzo con la testa sulle spalle".

Che idea ti sei fatto del rendimento di Musetti?
"Musetti è diventato papà. È molto giovane, poi basta con questa cosa del suo rovescio, del talento ecc. È uno che deve essere in condizione, tranquillo mentalmente, e giocare il proprio tennis. Quando non gioca il proprio tennis, diventa vulnerabile come altri giocatori. La differenza per lui è che gioca bene in tutte le parti del campo, con un gioco molto vario e difficile. Quando gioca il suo tennis batte i top. Quando non gioca il suo tennis può perdere partite, come può succedere. È una fase, è giovane. Poi è supportato da uno staff che lo segue, e soprattutto saprà lui quanto si vuole mettere in gioco in termini di sacrifici e di stare lì a sputare sangue ogni singola partita".

A proposito di Musetti e del tuo turborovescio, erano spariti dai primi posti ATP i giocatori con il rovescio ad una mano. C'è un'evoluzione in corso?
"Vi do una novità: fra qualche anno non ci sarà più il rovescio, perché si giocheranno due dritti. Dritto dalla parte di destra e diritto dalla parte di sinistra, cambiando mano. È l’evoluzione del tennis. Ma sì.. verranno fuori e ognuno giocherà come gli pare, con due mani, un piede (ride, ndr). Quella è l’evoluzione. Perché si gioca a due mani? Perché i bambini sia dalla scuola di avviamento al tennis, facendo meno fatica si aiutano con l’altro braccio. Punto, è molto semplice".

Sei stato un giocatore di grande carattere, cosa pensi della questione di introdurre il VAR anche nel tennis?
"Quello è esagerato. È bello vedere ogni tanto sclerare in campo, perché così fanno provare un po’ di emozioni anche a casa sennò diventano tutti dei robot. Certo, ci deve essere sempre una linea di condotta, e bisogna essere rispettosi nei confronti dei giudici e del pubblico. Ma alla base metterei l’impegno sul campo per gli spettatori che pagano biglietti salati e vogliono vedere lo spettacolo. Per l'esagerazione delle parole e il lancio delle racchette ci sono provvedimenti che vanno dal warning ai punti persi e così via. Sono regole che si sanno".

È l'anno delle Olimpiadi, e tu nel 1984 hai conquistato uno storico bronzo ai Giochi. Quanto tieni a quel titolo?
"Non vengono mai riconosciute perché sono diventate ufficiali dal 1988! Nel 1984 presi la medaglia di bronzo, che mi tengo cara perché Sinner dice che è più importante di uno Slam o del diventare numero uno visto che si gioca ogni 4 anni. Ho fatto la storia in Italia e nessuno lo riconosce. Pensa che sfortuna che ho avuto, però quelle Olimpiadi hanno ancora più valore perché erano dimostrative, non erano ufficiali. Valgono di più. Fai un appello a Mattarella…  fui ricevuto da Pertini al Quirinale con tutta la squadra. E gli strinsi la mano. Era dimostrativo, ma è sempre un torneo dove c’era importanza. Dimostrativo o no, dava sempre una medaglia dell’Olimpiade".

Vuoi dare un consiglio ai tennisti italiani o a Sinner per questa edizione alle porte? Sei unico in tal senso.
"Unico perché Sinner non potrà battere questo record. Io l’ho vinta a 19 anni. È un prima che dura da 40 anni. E ora andrò a commentare le Olimpiadi per la Rai. Ai miei tempi era fantastico, io ero ragazzino con Panatta capitano, Carl Lewis, il dream team USA, tutti i velocisti, dei record pazzeschi. Feci anche le Olimpiadi del 1988 dove persi ai quarti. Però come esperienza, lo sfilare per l’Italia e altre cose, è eccezionale. Il mio risultato, anche se dimostrativo, non me lo toglie nessuno. E mi faccio forza di questo".

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Come ti trovi nelle veste di commentatore, quanto ti piace?
"Ognuno ha il proprio metodo, io dico che parlare in due continuamente ogni singolo punto per 5 set stanca. A me piace tantissimo e non voglio parlar tanto perché così i telespettatori si concentrano sulla partita. Piuttosto devo dare qualcosa a livello tecnico, senza dire ace quando qualcuno fa ace oppure dire ‘bella palla' quando uno fa un vincente. Il film che tu vai a commentare lo fanno i giocatori, quando ci sono partite di livello alto è bellissimo commentarle. Poi rispetto tutti".

Tutto coerente in campo e ai microfoni, è la tua missione.
"Viva il tennis, facciamo il tifo per tutti i ragazzi azzurri perché così ci guadagniamo tutti: si avvicinano i bambini a questo fantastico sport e hanno dei punti di riferimento con dei valori importanti, anche per la vita. Questo cerco di insegnare ai bambini: non solo colpire la palla, ma anche dare una linea di sacrificio che ritroveranno in futuro. Questa è la mia missione, devo mettermi al servizio dei ragazzi".

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