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Luca Badoer oggi, tra i figli e il legame con Michael Schumacher: “C’è un motivo se siamo fratelli”

Luca Badoer è stato il pilota collaudatore più famoso nella storia della Formula 1 grazie al suo contributo nel periodo d’oro della Ferrari: nell’intervista esclusiva a Fanpage ci racconta il suo passato in pista e la nuova vita dopo la fine della sua carriera, cosa fa oggi e le speranze per i figli e lascia trasparire il grandissimo rispetto per l’amico fraterno Michael Schumacher e per la sua famiglia.
A cura di Michele Mazzeo
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Seppur lontano dai riflettori tra i grandi protagonisti della Ferrari più vincente di sempre in Formula 1 non si può non menzionare Luca Badoer. Il pilota italiano ad inizio millennio ha avuto infatti il grande merito di rendere nobilissima la figura del collaudatore rivestendo un ruolo fondamentale nello sviluppo delle vetture che hanno permesso al suo amico fraterno Michael Schumacher di riscrivere la storia della scuderia di Maranello e della F1.

Una volta appeso il casco al chiodo però il veneto classe 1971, contrariamente a molti suoi colleghi, ha lasciato completamente il mondo del motorsport per dedicarsi ad altro, tenendosi sempre ben lontano dai riflettori. Oggi però, a distanza di 13 anni da quasi mise fine alla sua carriera da pilota, in una lunga intervista rilasciata a noi di Fanpage.it Luca Badoer ci svela cosa ha fatto in questi anni, cosa fa adesso, cosa fanno i suoi due figli (Brando sta cercando di ripercorrere le sue orme e il prossimo anno correrà nel campionato di Formula Regional con l'obiettivo di convincere la McLaren, con cui ha un anno di contratto, di puntare definitivamente su di lui) e quali sono i suoi piani futuri. Ma non solo.

Luca Badoer con il figlio Brando
Luca Badoer con il figlio Brando

Con il tester più celebre della storia della Formula 1, infatti, abbiamo parlato anche della sua carriera, dei suoi rimpianti e delle grandi soddisfazioni, delle scelte sbagliate e di quelle giuste, delle cocenti delusioni e delle immense gioie. Una chiacchierata a tutto tondo quella fatta con Luca Badoer infatti con un solo argomento off-limits, vale a dire il suo rapporto di amicizia con il leggendario Michael Schumacher e la sua famiglia ancora oggi solidissimo (non a caso l'ex pilota italiano è una delle pochissime persone che possono andare a far visita al campionissimo tedesco alle prese con i postumi del terribile incidente sugli sci avvenuto ormai 10 anni fa e sulle cui condizioni c'è un alone di mistero).

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Contrariamente a tanti suoi colleghi, una volta appeso il casco al chiodo, lei non è rimasto nel mondo delle corse. Cosa fa oggi Luca Badoer?

"Quando ho smesso di correre mi sono dedicato totalmente alle aziende di famiglia che ha fondato mio papà: un'azienda di serramenti e una di verniciatura a polvere. Inizialmente ero molto preso totalmente da questa cosa poi, quando i miei due figli sono cresciuti, uno ha cominciato a correre con i go-kart e uno ha iniziato a giocare a calcio e quindi, oltre al lavoro, li seguo un po' dappertutto cercando di aiutarli a realizzare il loro sogno".

Suo figlio Brando sta dunque cercando di ripercorrere le sue orme. In che modo lo sta aiutando: lo segue costantemente in pista o si limita a dargli dei consigli?

"Lo seguo abbastanza costantemente ma sto, per quel che possibile, sempre dietro le quinte quando siamo in pista. Lo lascio fare perché è giusto che faccia le sue esperienze, che faccia i suoi errori e che impari da questi. Ovviamente gli do qualche consiglio e qualche dritta ma cerco sempre di far in modo che riesca a cavarsela da solo".

Lei è stato un grande pilota eppure è ricordato soprattutto come colui che ha dato lustro alla figura del collaudatore. Questa cosa le dà fastidio oppure è motivo di orgoglio?

"È un motivo di orgoglio perché in Formula 1 se non hai la macchina per vincere non puoi farci niente. E ai miei tempi era ancora peggio di adesso perché tra la pole position e l'ultimo classificato c'erano oltre cinque secondi. Erano due/tre categorie nello stesso campionato. Quindi o guidavi la macchina vincente oppure non potevi vincere o fare risultati. Dunque è un grande orgoglio per me perché per più di dieci anni sono stato il collaudatore della Ferrari più vincente di sempre ed è sicuramente una cosa che ricordo con piacere. Anche perché penso sia meglio fare il collaudatore in un team come la Ferrari che guidare per un team non competitivo in Formula 1".

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Nella sua carriera ci sono state delle sliding doors incredibili: qual è il suo più grande rimpianto?

"Il rimpianto più grande è il mio primo anno in Formula 1. Io arrivavo dalla Formula 3000 – praticamente la Formula 2 di oggi – dove avevo vinto il campionato e avevo sul tavolo varie offerte tra cui la Tyrrell e il mio rimpianto è proprio quello di non essere andato lì. La Tyrrell in quegli anni aveva una macchina che poteva andare a podio, era in un momento molto buono, però tra spinte da parte degli sponsor e spinte da parte della Ferrari che mi seguiva con attenzione e mi hanno fatto scegliere la Scuderia Italia che era sostenuta interamente da Philipp Morris e aveva i motori Ferrari. Quindi diciamo che è stata una scelta un po' ‘politica' e sulla carta poteva anche essere una sorpresa in positivo. E invece è stata una grande sorpresa in negativo perché la macchina di quell'anno era imbarazzante: non stava in strada e non era per nulla performante. In Formula 1 non hai molti treni che passano, ne hai uno e in rarissimi casi ne hai due, pertanto se sbagli il primo ti compromette tutta la carriera a livello di F1".

E invece c'è una gara o un episodio che ricorda molto volentieri?

"Non saprei dirti, però ti posso dire quella che ricordo malvolentieri. Sicuramente quella del Nurburgring con la Minardi nel 1999: ero risalito fino al 4° posto, nonostante varie vicissitudini durante il Gran Premio, e poi a tre giri dalla fine mi si è rotto il cambio. Quindi in un attimo siamo passati da un trionfo ad una cocentissima disfatta perché arrivare con una Minardi a ridosso del podio e fermarsi a tre giri dalla fine è la cosa che ricordo ancora con grande tristezza".

Nel momento in cui era al top è più volte andato vicino a diventare pilota titolare della Ferrari, ma l'occasione è arrivata solo nel 2009…

"Anche in questo caso, è vero che ci sono state diverse opportunità che poi per motivi a me oscuri non si sono mai concretizzate. Però c'è da dire che l'occasione è arrivata nel momento più sbagliato, cioè quando ho fatto quei due GP per sostituire Massa che si era fatto male. Ma quello per me era veramente il momento più sbagliato possibile perché i test erano già proibiti da un anno e mezzo e quindi io non ero più in forma e non avevo più la manualità per guidare una Formula 1. Sapevo che non sarebbe andata bene, però come si fa a dire di no quando ti chiamano per correre dei Gran Premi con la Ferrari? La passione e l'entusiasmo ti fanno fare delle scelte con la speranza che succedano miracoli, ma in realtà ero certo che avrei pagato molto il lungo periodo di inattività e la mancanza di test in quel periodo lì".

Nel suo lungo periodo in Ferrari ha stretto una grande amicizia con Michael Schumacher: ci racconta qualche aneddoto riguardo al vostro rapporto fuori dalla pista?

"Schumacher per me è un argomento molto, molto delicato. Preferisco non parlarne sia per aneddoti passati che per quel che riguarda cose successe dopo l'incidente sugli sci. Ed è anche questo il motivo per cui siamo molto amici e ho un ottimo rapporto con loro (la famiglia Schumacher, ndr), perché non parlo di cose che devono rimanere nel privato. Lui era ed è un fratello e quindi ovviamente abbiamo fatto vacanze insieme e abbiamo trascorso momenti a livello intimo familiare bellissimi ma è giusto che rimangano nel privato".

Torniamo alla pista: cosa ne pensa della F1 attuale in cui praticamente i test non ci sono più? 

"Io ho vissuto una Formula 1 in cui i test erano fondamentali. E, oltre al fatto che era utile e divertente fare i test, c'era anche un indotto economico derivante dai test che erano visti come un evento. Dovessi scegliere io dunque riaprirei ai test privati. I simulatori non mi sono mai piaciuti perciò preferisco una Formula 1 con i test privati, anche se capisco che per ragioni di budget cap si sia passati ai simulatori".

Le piacerebbe in futuro rientrare in Formula 1 con un ruolo operativo in qualche team?

"Sinceramente non ci ho mai pensato e non mi è mai interessato perché penso che la vita sia fatta di tante cose: io sono stato 35 anni nel motorsport, di cui una ventina in Formula 1, e penso che nella vita sia bello dedicarsi anche a qualcos'altro. Passare tutta la vita nel motorsport non è una cosa a cui ho mai pensato anche se, in un certo senso, adesso con mio figlio che corre, ovviamente, sono stato un po' risucchiato nuovamente dentro l'ambiente. Ma per quanto riguarda un lavoro o una carica nel motorsport non sono cose che mi interessano".

Come si vede tra dieci anni Luca Badoer?

"Il mio obiettivo principale adesso, oltre a far bene nel mio lavoro, è quello di aiutare i miei figli a fare strada nel mondo dello sport. Questo perché fare sport e farlo con l'obiettivo di arrivare ai massimi livelli sia una cosa molto importante per loro. Al di là poi che le cose per loro vadano bene o non vadano bene, perché comunque ritengo che sia un'esperienza molto formativa. Ritengo infatti che un ragazzo che cresce nell'ambito sportivo, con una formazione sportiva, poi anche nella vita può avere qualcosa in più: a scuola così nel mondo del lavoro o in altri contesti in cui ci si ritroverà da grandi. Pertanto tra 10 anni spero di vedere i miei figli in alto: uno nel motorsport e l'altro nel calcio".

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