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Ivan Capelli: “Il Capodanno in barca da Senna fu unico. Con Raffaella Carrà rischiai grosso in TV”

Ivan Capelli è un pezzo di storia della F1. Pilota con buoni risultati, guidò nel 1992 la Ferrari, è da anni talent in TV ed è stato anche presidente dell’ACI Milano, quando c’era da trattare il rinnovo di Monza con Ecclestone, Capelli ha rilasciato un’intervista a Fanpage nella quale ha raccontato diversi aneddoti.
A cura di Alessio Morra
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Non serve vincere un titolo Mondiale per diventare un pezzo di storia della Formula 1. Ivan Capelli ha corso per diverse stagioni nel circus, lo ha fatto in un'epoca d'oro, ricca di campioni, è stato anche per una stagione alla Ferrari. Poi si è dedicato all'attività televisiva: è stato talent in Rai negli anni in cui la Ferrari trionfava con Schumacher, ora è in TV con Sky, in mezzo ha scritto anche un libro in cui racconta la sua vita: ‘Ivan Capelli. Quella volta che… memorie di vita e di corse'. L'ex pilota nell'intervista con Fanpage.it ha parlato della F1 di ieri e di oggi, dell'amicizia con Michael Schumacher, di un Capodanno trascorso in Brasile a casa di Senna, ma anche di un'apparizione televisiva al fianco di Raffaella Carrà, in una prima serata del sabato sera. Capelli ha risposto pure a una domanda sulle difficoltà di Hamilton e della Ferrari.

Partiamo da quel memorabile GP di Francia del 1990, quando con la Leyton House andasti a un passo da un successo storico. Un GP chiuso con un secondo posto e un podio in compagnia di Prost e Senna, grazie a una strategia originale.
Quella gara è stata strepitosa ed è anche la slinding door che si può avere nella vita. Arrivammo in Francia dopo una cocente delusione nella gara precedente disputata in Messico. Brunner, che gestiva la squadra, mi disse che avremo una macchina molto stabile e nacque un'idea pazza, quella di non effettuare il pit stop. Noi della Leyton House, io e il mio compgno Guglemin, la gomma la gestivamo bene, mentre gli altri no e considerando il caldo del Sud della Francia e l’asfalto aggressivo dovevano effettuare per forza il cambio gomme.

Una strategia che non venne compresa da tutti e che sarebbe stata vincente se non ci fosse stato un problema al motore.
Sparigliamo le carte di tutti quanti. James Hunt, che all’epoca commentava per la BBC, disse in diretta che eravamo degli idioti. Rimasi primo a lungo, fino a quando il motore non mi diede problemi. Quella gara è la sliding door della mia carriera. Perché se a tre giri dalla fine il motore non avesse avuto problemi avrei vinto davanti a Prost e Senna, e la mia storia sarebbe stata diversa, ma questo non si potrà mai sapere.

Al netto della delusione conservi uno splendido ricordo di quel giorno e una foto memorabile, perché eri suldi un podio con due dei più grandi piloti di sempre.
In quella foto si vede un Ayrton abbastanza ‘incazzato’. Stava vivendo un testa a testa con Prost e quel giorno aveva perso punti importanti, sul podio aveva questo atteggiamento arrabbiato, mentre io ero felice come una Pasqua. Più contento di tutti era Alain che aveva vinto.

Ivan Capelli sul podio del Gp Francia del 1990 con Alain Prost e Ayrton Senna.
Ivan Capelli sul podio del Gp Francia del 1990 con Alain Prost e Ayrton Senna.

Tu hai avuto modo di fare anche un Capodanno in Brasile con Ayrton Senna, non è una cosa molti possono raccontare.
Quella fu una cosa molto particolare. Perché Gugelmin, compagno di scuderia, era amico di Senna, e della sua famiglia, e mi disse se sarei voluto andare trascorrere il Capodanno da Ayrton. Dissi di si e andammo con la sua barca da Curitiba ad Angra dos Reis, dove trascorremmo una fine d’anno particolare. Qualcosa di unico. Perché vidi un Senna lontano da quello che era abitualmente, lontano da quello che eravamo abituati a vedere noi in pista: cioè sempre concentrato, equilibrato, cocentrato su cosa faceva, cosa mangiava, cosa beveva. Lì era libero e si divertiva, come qualsiasi ragazzo della nostra età, sfruttando quello che poteva offrire il Brasile con sport acquatici, feste e il mare. Era un Ayrton a 360 gradi.

Nel periodo in cui ha corso in Formula 1 c'erano tantissimi piloti italiani in pista, c'era competizione tra voi?
C'è stata una edizione del GP di Monza con la bellezza di 13 piloti italiani iscritti, credo sia un record unico nella Formula 1. C'era un movimento talmente forte di italiani, tra sponsor e piloti, che la lingua più parlata nel paddock era l’italiano, seguivano i brasiliani e gli spagnoli che si accodavano, con gli inglesi che erano quasi esclusi da questo movimento. Non ti nascondo che proprio perché eravamo una pattuglia così numerosa, nel momento in cui tu facevo le Qualifiche, combattevo naturalmente contro tutti, però guardavo i risultati degli altri italiani e quando mi trovavo a essere il primo degli italiani era una soddisfazione.

Tu da decenni sei in questo mondo ed hai visto da vicino un'evoluzione impressionante, com'è cambiato il mondo della Formula 1?
Ho avuto la fortuna di toccare una Formula 1 che si è evoluta in maniera esponenziale, cambiando di anno in anno. Quando sono sbarcato c'erano ancora al centro del sistema gli uomini che facevano e costruivano le macchine. Quando ho fatto il mio esordio avevo 22 anni ed ero il più giovane e c'erano grandi piloti. Oltre a quelli che lottavano per il titolo Mondiale c’erano giusto per fare un paio di nomi: Keke Rosberg e Boutsen. Io ho debuttato a Brands Hatch e quel giorno John Watson sostituiva Niki Lauda, che tornò giusto in Australia e così mi trovai in griglia nel giorno dell’ultima gara di Lauda.

Dagli anni '80 ci sono state una sfilza impressionanti di novità tecniche.
Si, ci sono sono stati tantissimi cambiamenti anche dal punto di vista tecnico. La mia generazione ha vissuto l’esordio della telemetria applicata al motore. Si vedevano i grafici e vedevamo come un pilota guidava. L'ingegnere te li faceva vedere e ti diceva: ‘Tu questa curva non l’hai fatta in pieno perché manca il 10 percento di farfalla'. Poteva capitare che alzavi il piede e nemmeno te ne accorgevi. Prima raccontavi il giro e l’ingegnere ti credeva. Da quel momento con la telemetria è cambiato tutto. Ma penso pure al cambio manuale che venne sostituito da quello sequenziale, poi arrivarono le palette al volante. È stata una Formula 1 pregna di soluzioni tecniche innovative, stessa cosa anche per le ali, con un passaggio di materiali unico nel suo genere.

Ora lavori a Sky in precedenza sei stato alla Rai ed hai avuto la possibilità di commentare la meravigliosa era Schumacher, quando la F1 faceva ascolti straordinari. 
Alla fine io ho fatto vent’anni in Rai, con Mazzoni, è stato un periodo lunghissimo, abbiamo avuto la fortuna di raccontare le vittorie di Schumacher, che da sole facevano audience, non c’era certo bisogno del nostro supporto per fare numeri. In Rai avevamo raggiunto un equilibrio ottimale per quanto riguarda il racconto giornalistico con Gianfranco, il mio supporto sul lato del pilotaggio, l’analisi ingegneristica con Bruno e Piola. Eravamo ben equilibrati. Noi abbiamo avuto la capacità di raccontare questo sport pure alla massaia di Voghera che si trovava davanti alla televisione e non sapeva nulla, raccontando quel periodo della Formula 1 che è stato epico. Oggi sono a Sky siamo una bella squadra, compatti, competenti, c'è grande armonia tra noi e riusciamo fare un bel prodotto di livello.

Ivan Capelli, Giancarlo Bruno e Gianfranco Mazzoni.
Ivan Capelli, Giancarlo Bruno e Gianfranco Mazzoni.

Nel libro hai raccontato un episodio molto divertente che ti lega a Raffaella Carrà e a una trasmissione del sabato sera.
Tutto nasce dalla ‘pazzia’ di mio padre che non aveva nessun ‘ritegno' a mandarmi da qualsiasi parte, lui poi stava a casa (sorride). Quello con la Carrà è stata una storia incredibile. Ma ciò che volevo far emergere anche da una storia come questa è il fatto che a differenza di quanto capita ai piloti di adesso, io mi sono sempre ritrovato da solo. Così è capitato dalla Carrà, ci sono andato da solo, non c'era il codazzo che c'era adesso con l’accompagnatore, il manager. Io sono arrivato e gli ho detto: ‘Buongiorno sono qui mi hanno chiamato per fare questa cosa’. Così è stato quando ho debutto a Brands Hatch, ho debuttato in Formula 1 da solo, anche io avrei voluto un qualcuno con me ma non ce n’era la possibilità anche economica.

In ogni caso fu un'esperienza incredibile. In prima serata, su Rai 1, con Raffaella Carrà, dovevo guidare una vettura, in una promozione, lo spazio di manovra era poco, facemmo delle prove nel pomeriggio, ma poi nella diretta non fui proprio perfetto e rischiai grosso. Lei mi tranquillizzò, disse che era andata bene. A casa erano tutti felicissimi davanti la TV. Ci fossero stati i social all’epoca quella scena sarebbe diventato un meme da migliaia di visualizzazioni.

Sei stato anche presidente dell'ACI Milano ed hai dovuto gestire anche la trattativa per il rinnovo del contratto di Monza in Formula 1, come è andata con Ecclestone?
Gli incontri con Ecclestone valgono un Master in trattativa, in mediazione. Raggiungere l'accordo con lui è stato durissimo. Lui voleva ottenere il suo obiettivo, io a un certo punto ho capito la sua strategia. Devo dire che ho vissuto tutte le esperienze possibili: ho fatto il pilota, ho fatto lo pseudo-giornalista, ho lavorato e lavorato in televisione e sono stato presidente dell’ACI Milano quando c'era da trattare il rinnovo contrattuale con Ecclestone per l’organizzazione GP di Monza. In quell'occasione ho capito quanto è complessa la macchina organizzativa attorno un weekend di gara.

Un'organizzazione certosina che deve tenere conto di ogni minimo dettaglio.
Mi sono reso conto che la gara è l’ultima cosa che ti interessa. Perché ci sono talmente tante altre cose a cui fare attenzione, che all'apparenza sembrano marginali ma che poi diventano importanti. Vedendo dall'interno come nasce un evento di questo genere ho capito che gli organizzatori hanno veramente una gatta da pelare quando c’è il GP. Si vive in tensione una settimana, perché può accadere qualunque cosa, gli imprevisti sono dietro l'angolo, e solo al lunedì si tirano le somme sperando che i ricavi dei biglietti siano sufficienti per pagare il contratto di Ecclestone, cosa accade poche volte.

Hai avuto modo di conoscere bene anche Michael Schumacher, che è stato tuo compagno di squadra nella Nazionale di calcio dei Piloti.
Michael nel calcio era evidentemente più rilassato, era un momento di svago, di condivisione di qualcosa che era lontano dal Motorsport, però anche in quei momenti, e questo mi colpì, lui non abbassava mai la guardia e non cambiava mai il suo modo di approcciare le cose. Era molto competitivo e questo lo portava a voler sapere chi era il giocatore che veniva con noi e non aveva mai visto, voleva sapere come giocava la squadra avversaria, perché voleva capire chi erano quelli più forti. A volte gli dicevo ‘Dai Michael è una partita di beneficienza’, non stiamo qui a consumarci il cervello. Lui mi diceva: ‘No, tu devi capire, mi devi dire’ e mi metteva nella condizione di dovergli rispondere. Era una cosa incredibile, perché non abbassava mai la sua soglia di attenzione.

Ivan Capelli e Michael Schumacher con la Nazionale Piloti, con loro il Principe Alberto di Monaco
Ivan Capelli e Michael Schumacher con la Nazionale Piloti, con loro il Principe Alberto di Monaco

Hai scritto un libro ‘Quella volta che… memorie di vita e di corse' che è un libro divertente, nel quale racconti tante storie con grande leggerezza.
Hai centrato lo spirito del libro. Io inizialmente volevo fare un cartone animato, un fumetto, avevo contattato Angela Allegretti, che ha poi fatto le tavole che sono presenti nel libro. L’idea era quella di raccontare alcuni episodi, aneddoti, storie, tramite il fumetto, perché la mia idea era quella di coinvolgere i bambini. Poi ho trovato le immagini che aveva fatto mio padre, quando ho debuttato con i kart – perché mio padre faceva l’operatore cinematografico alla Rai e avendo ritrovato quelle immagini ho deciso di fare il biopic, che è stato prodotto assieme a Sky Documentaries, ed è tutt'ora disponibile on demand, ma all’interno di quel biopic non ho potuto raccontare tutto, così sono tornato a pensare al libro, in cui non ho voluto fare una biografia classica un po' noiosa – tipo quei tomi di 500 pagine – ma qualcosa di bello e abbastanza leggero.

Un libro con 55 storie che hai scritto tu da solo.
Ho trovato una foto del kart di quando ho debuttato nel 1978 con il numero 55, che è un numero importante all’interno della mia storia sportiva e mi sono detto facciamo 55 storie. Questo libro, si, me lo sono scritto tutto da solo e questo mi rende orgoglioso, non c’è stato un Ghost Rider che ha sentito le storie e le ha tradotte in scrittura, mi sono messo lì e ho cercato la parola giusta. Ci ho messo un anno, anche perché volevo trasmettere l’emozione.

Cosa si prova nei momenti che precedono la partenza di un Gran Premio?
Io sono stato il primo pilota, o uno dei primi, a farsi monitorare il cuore in gara, dal dottor Ceccarelli, e ti assicuro che sotto al semaforo, a sforzo fisico zero, perché sei fermo e devi solo inserire la prima, attaccato al volante, la mia frequenza cardiaca arrivava a 196 battiti. Questo rende bene l’idea, ed è un indizio per far capire l’adrenalina che un pilota vive in quel momento. Si bruciano tante emozioni quando rilasci la frizione, perché c’è un susseguirsi di emozioni, di azioni, che durano decimi di secondo, che sono talmente intense che ti portano via un sacco di energie, appena rilasci la frizione, capisci subito se l’hai lasciata bene oppure no, e devi capire poi se devi fare una traiettoria aggressiva o difensiva.

Capelli alla guida della Leyton House nel Mondiale di F1 1991.
Capelli alla guida della Leyton House nel Mondiale di F1 1991.

Perché se parti male ti fai piccolo, perché gli altri ti passano a destra e sinistra. Se parti bene, ti allarghi e pensi prendo il mio spazio e quello spazio è mio, di conseguenza alla fine del rettilineo tu hai una frenata, la imposti su quello che stai vivendo sapendo che vicino a te c’è chi la domenica prima ha fatto un incidente o magari hai uno vicino a te che o lo passi in quel momento e non lo passi più, perché ha una vettura migliore della tua. Insomma è un miscuglio di pensieri ed emozioni che bruci in 500 metri, poi c’è tutto il resto.

Quindi un pilota vive un'emozione unica volta che si trova alla partenza di un Gran Premio?
La partenza, poi, è una di quelle cose ti manca quando non corri più. Però, quando ce l’hai e non ce l’hai come vuoi tu, perché non puoi essere competitivo, te la giochi in difesa ti pesa. Infatti se guardi oggi gli atteggiamenti e gli occhi di Lewis Hamilton non sono quelli di un pilota felice, ma di un pilota che indossa il casco e pensa ‘Anche oggi mi tocca litigare con la macchina e con me stesso'.

Qual è la differenza principale che vedi tra i piloti diciamo di oggi e quelli della tua generazione?
I ragazzi che corrono oggi non li vedo felici. Oggi pure chi vince, alza il braccio, dà un cinque al meccanico e finisce lì. All’epoca chi vinceva aveva la facoltà di capire che aveva fatto qualcosa di speciale, oggi pare che abbiano fatto il compitino, ma non sembra esserci una vera soddisfazione.

Lewis Hamilton è ancora a caccia del primo podio con la Ferrari.
Lewis Hamilton è ancora a caccia del primo podio con la Ferrari.

Come mai la Ferrari non riesce più a lottare per il titolo Mondiale? Eppure quest'anno, prima dell'inizio del Campionato, c'erano grosse speranze.
La Ferrari deve capire che ha problemi molto grossi, purtroppo ha interpretato male alcune vetture. Nel 2024 aveva raddrizzato un campionato che era partito male, ma poi per cose che non riusciamo a capire hanno deciso di stravolgere la macchina che non andava male. Questo è stato un errore, un errore che te lo porti per tutto l’anno. Questo diventa un impedimento importante soprattutto perché bisogna capire se chi farà la macchina dell’anno prossimo è valido oppure no, in più alle porte c'è un nuovo regolamento. Quindi ci si chiede: chi ha fatto questa macchina che non va bene, riuscirà a crearne una così competitiva? Questa è una domanda da un milione di dollari.

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